02 - Just I Can't...

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...I can't smile without you
I can't laugh and I can't sing
I'm finding it hard to do anything
You see I feel sad when your sad
I feel glad when you're glad
If you only knew what I'm going through
I just can't smile....

Le note andarono a scemare fino a svanire e Manuel sospirò.
Marco non lo aveva mai visto in quello stato e sbuffò un po' infastidito, perché era la milionesima volta che era costretto a sentire quella canzone e la trovava melensa oltre il limite della sopportazione. Alla fine si era dovuto arrendere dato che non poteva far altro che ascoltarla, sarebbe stato poco carino rompergli il telefono contro il muro, anche se quel pensiero gli stappava un sorriso soddisfatto.
Aveva capito presto come l'amico si lasciasse trasportare facilmente da amori fugaci.
Ogni volta si lasciava trasportare e si profondeva in sperticate decantazioni e languide parole.


I can smile without you...



Che esagerazione, si disse Marco tra sé e sé. Come poteva esistere davvero qualcuno in grado di possedere un tale potere su un'altra persona?
Poi non riusciva proprio a prenderlo sul serio Manuel! Quando parlava dei suoi amori pareva che elencasse le conquiste di Don Giovanni o Giacomo Casanova. Come facevano i versi di quell'opera che era piaciuta tanto a sua madre?


In Italia 640... ma in Spagna sono già 1300...


Certo il suo amico non arrivava a quei vertiginosi numeri, però con quel suo faccino angelico aveva fatto non poche stragi di cuori, e di fatto non esisteva davvero qualcuno al mondo che potesse definitivamente strappargli il sorriso.
Com'è il detto? Morto un Papa se ne fa un altro? Presto anche questa fiamma si sarebbe spenta sostituita da una nuova e così via...
«Sono curioso di vedere quanto durerà stavolta, questa grande travolgente passione.» lo canzonò Marco.
«Non essere cinico...» rimbeccò Manuel. «Come se tu non avessi chi è in grado di toglierti il sorriso.» concluse, sospirando.
Marco sbuffò, alzando un sopracciglio e fissandolo incredulo. Che diavolo intendi? Era quello che esprimeva la sua faccia.
«Cerco di farti chiarezza!» esordì Manuel, sedendosi impettito come una maestrina davanti a uno studente molto testardo e duro di comprendonio. «Riassumiamo l'ultima settimana! Abbiamo perso il derby, siamo finiti fuori dalla coppa, avevamo tutti il morale sotto i tacchi, come era naturale che fosse, ma a te è bastata una telefonata a migliorare il tuo umore. Ti sei anche precipitato a prenderlo in aeroporto. Quali sono state le tue esatte parole? "Non si preoccupi signora ci penso io, no nessun disturbo lo faccio volentieri, lo so che ha più valige di tutta la nazionale messa assieme... Fortuna ho un bagagliaio grosso"» scimmiottò la voce borbottante dell'amico. «Come se la principessina non avesse alternative vero?» sbuffò proseguendo impietoso il discorso.
Non che Manuel non avesse simpatia per il pattinatore, ma lo riteneva un po' troppo eccentrico per i suoi gusti e che non avesse davvero niente in comune con Marco. Comunque non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, non voleva che l'amico lo mettesse nella lista nera o che lo accomunasse a suo padre. Per quanto trovasse alle volte il pattinatore un bizzarro uccellino variopinto, molto vanesio e rumoroso, era lungi dal pensare che fosse dannoso per il compagno di squadra, tutt'altro. Era la sola persona in grado di farlo ragionare quando perdeva la calma. Anche se difficilmente quella rabbia usciva dal campo di gioco.
Marco aveva davvero moltissimi pregi. Era in grado di ispirare la squadra, di tirare fuori da ognuno di loro le giuste motivazioni, era quello che aveva sempre la parola giusta nel momento giusto, ma era anche quello che perdeva la calma e si faceva espellere in modo stupido. Era quello che a fatica domava la sua possente stazza, il che lo portava a contatti non troppo cortesi con gli avversari, anche se alla fine risolveva tutto con un sorriso sornione e una stretta di mano. Marco, con le sue grandi spalle possenti, spassosamente inconsapevole del proprio reale valore.
Pareva credesse solo a una persona e che solo dalle sue labbra potessero uscire complimenti veritieri e credibili.
«Non potevi aspettare il giorno dopo vero? NO! Tu la odierai anche questa canzone ma sei la sua incarnazione perché quando sei arrivato a casa avevi ancora quel sorriso ebete stampato in faccia... Lo stesso che hai adesso. Almeno te ne rendi conto?»
Marco ammiccò. Come negare? Le immagini riaffiorarono nella sua mente.
J aveva i capelli arruffati e un'aria così indispettita, e soltanto perché la sua bellissima valigia aveva un'orrenda riga nera, un'onta che pareva non sarebbe mai riuscito a perdonare.
Marco aveva lottato con tutte le forze per non scoppiare in una sonora risata e J a quel punto gli aveva afferrato al volo il berretto, mettendoselo con la scusa "i miei capelli sono inguardabili".
«Quello è il mio cappello portafortuna.» aveva provato a protestare Marco.
J gli aveva rivolto un sorrisetto che lasciava intendere che non glielo avrebbe restituito mai più. «Adesso è il mio portafortuna.» Aveva asserito, ridacchiando.
A nulla sarebbe servito ricordargli che aveva già un portafortuna, quel cappello non sarebbe mai tornato indietro. Quel berretto riportava ricamato sopra il numero speciale del calciatore, il 23, un numero molto importante, un numero fortunato, il suo numero di maglia da che aveva memoria.
Marco scosse la testa, adesso sarebbe stato anche il numero di J in qualche modo.
La mente di Marco ritornò al presente. «Ma no!» esclamò facendo spallucce. «Stavo solo pensando a un episodio divertente nulla di che...» avrebbe voluto sviare il discorso ma ripensare a J con indosso il suo 23 gli stappò un nuovo sorriso.
«I'm finding it hard to do anything... I feel glad when you're glad...» gli canticchiò Manuel e Marco uscì spazientito dalla stanza, non prima di avergli fatto un gestaccio con la mano.
Ma andarsene non servì a molto, quella maledetta canzone non solo non voleva uscirgli dalla testa, ma faceva di tutto per emergere, dirompente e assordante, in ogni suo pensiero.
Marco si era addirittura sorpreso a canticchiarla mentre passeggiava pigro verso il palazzetto. Ed era sobbalzato quando J, perplesso, aveva fatto eco a quelle medesime parole che ripeteva ormai da ore.
Preso da un panico irrazionale tentò di cambiare la canzone, non voleva ammettere nemmeno a J di averla riascoltata un migliaio di volte, ma si ritrovò a incespicare facendo cadere tutto.
J trovò la cosa incomprensibile e divertente, e scoppiò a ridere, recuperando il telefono finito a terra. «Tieni! Mani di burro.» Gli disse.
E nella mente del calciatore echeggiarono di nuovo quelle parole.

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