11 - Dream on

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Non era mai stato in Giappone. E, riflettendoci, Marco si rese conto di non essersi mai preso del tempo per una vera vacanza, non che ne avesse mai sentito il bisogno. Quando J gli aveva proposto di seguirlo aveva fatto spallucce come suo solito, perché no? Il campionato non era andato come sperava, la chiamata che attendeva tardava ad arrivare, gli avrebbe fatto bene staccare la spina.
E poi aveva davvero bisogno di passare del tempo con l'amico. Quel ballo al matrimonio lo aveva scosso nel profondo. Poteva percepire ancora il suo profumo, il suo corpo stretto al proprio. Era stato così bello. Peccato che fosse l'ennesimo sogno destinato a svanire all'alba.
Non che la realtà fosse poi così male, J trovava sempre il modo di distrarlo dalle preoccupazioni, soprattutto se doveva aiutarlo con la sua infinita quantità di indumenti e accessori.
«Hai troppe valige» gli aveva detto in aeroporto prima della partenza. Aveva scrutato borbottando i tre carrelli carichi, l'altro si era limitato a un sorriso ammiccante.
Marco borbottava, ma J sapeva che non erano vere lamentele, tutto fumo e niente arrosto.
Era la prima volta in assoluto che i due prendevano assieme l'aereo e quel volo era stato particolarmente lungo. Quasi un intero giorno.
Il calciatore era un buon compagno di viaggio, ammortizzava bene le esplosioni di rabbia del pattinatore, cui lo portava la stanchezza.
A lui le attese sembravano non pesare, riempiva il tempo leggendo, J non credeva fosse possibile che il ragazzone, amante del calcio, fosse in grado di passare tanto tempo sui libri.
J si dilettava nel tentare di interromperlo. Alla fine si era dovuto arrendere all'inattaccabilità rocciosa del giocatore e si era appisolato appoggiato alle sue ampie e rassicuranti spalle.
Una volta arrivati Marco era rimasto folgorato da quella immensa città, così strana e caotica. Pareva diversa da qualsiasi luogo avesse visto fino a quel momento.
J gli aveva proposto di fare il turista per Tokyo, mentre lui fosse stato impegnato con le prove dello spettacolo.
Il calciatore aveva anche provato ad allontanarsi, tuttavia dopo qualche giro per la città senza una meta precisa si era ritrovato di nuovo all'interno del palazzetto, nascosto in alto a osservare la distesa di ghiaccio sottostante.
Era la prima volta che viaggiavano assieme, voleva guardarlo nel suo elemento, in fondo era per quello che era lì, non per fare il turista.
J sollevò lo sguardo facendogli l'occhiolino, mentre porgeva di nuovo la mano al compagno di allenamento, piroettandogli vicino. Marco gli fece cenno con la mano, traendo un profondo respiro, la quiete che gli dava era impagabile.
Mickey passava molto tempo con Yukine e Diego, mentre J aveva ritrovato vecchi compagni di gara. Era buffo vedere le divisioni che si erano create, tra vecchie leve e giovani promesse.
Quando J si trovava sul ghiaccio il resto dei problemi svaniva, lasciando il posto solo a quella immensa distesa bianca.
Marco avrebbe desiderato che niente potesse spezzare l'incantesimo. Avrebbe voluto che non smettesse mai di sorridere, ora che finalmente i suoi sorrisi erano tornati quelli di un tempo.
La sua risata echeggiò nel palazzetto. J si portò le mani alla bocca per attutirne il suono e il calciatore sbuffò. Non capiva perché l'altro si celasse il volto in quei momenti, come a nascondere il suo vero io a occhi indiscreti, che emergeva dirompente quando rideva a cuor leggero. Era stupido e infantile desiderarlo, ma non poteva farne a meno, voleva che quegli attimi di gioia potesse durare per sempre.
I giorni scorrevano veloci, e il tempo passato assieme ai pattinatori era sempre tanto. Marco aveva la propria stanza, ma a parte per dormire passava fuori quasi tutta la giornata. Il più delle volte cenava assieme a tutto il gruppo di pattinatori, che poi si ritiravano ognuno nel proprio albergo.
Marco adorava osservare J e Mickey che camminavano a braccetto ridendo, mentre commentavano le vetrine dei negozi. Doveva ripetere ogni volta loro che non si annoiava, che non gli pesava affatto, che lui stava bene, ma i due ragazzi sembravano scettici.
La prima sera Marco aveva salutato J sulla soglia di camera e il pattinatore l'aveva guardato a lungo prima di ritirarsi nella propria.
La seconda sera Marco stava per appisolarsi quando un bussare incessante lo aveva svegliato.
J si era precipitato in lacrime nella stanza.
Il calciatore lo aveva lasciato sfogare per ore, afferrando ben poco di ciò che farfugliava tra singhiozzi e balbettii. Vance lo aveva chiamato, contravvenendo alle indicazioni dategli dall'avvocato, per ricordargli che accettare di dargli la custodia esclusiva della loro cagnolina era la scelta più giusta, in quanto il pattinatore non avesse materialmente il tempo di seguirla. Aggiungendo quanto fosse imprudente e inaffidabile.
J aveva pianto fino all'ultima delle sue lacrime, singhiozzando senza ritegno, finché spossato non si era addormentato cullato dalle carezze gentili di Marco. Quello fu il primo vero sonno ristoratore dopo molte notti insonni.
Era strano, era come se la costante presenza del calciatore servisse da protezione per la sua mente angustiata.
Marco non si sorprese quando se lo ritrovò alla porta anche le sera dopo, asserendo che non ci fosse acqua calda nel proprio bagno e quella dopo ancora, perché la televisione non si sintonizzava sul canale di moda che cercava. Alla fine il calciatore smise di ascoltare le scuse e, quando si trasferirono d'albergo per la seconda tappa del tour, non lo prese certo alla sprovvista la richiesta di J di avere due camere comunicanti.
Alle volte però era Marco a non riuscire a prendere sonno. Si era ripromesso di essere un buon amico, ma era anche un essere umano. Qualche volta, svegliarsi nel cuore nella notte dopo un sogno eccessivamente coinvolgente non era il massimo se l'oggetto del desiderio era sdraiato al proprio fianco, seminudo, e al tempo stesso intoccabile.
Spesso il calciatore si perdeva nell'osservare il suo collo. Si rendeva conto di poter far passare ore imbambolato.
La voglia a forma di piccolo cuore, una sfumatura appena più scura su quella pelle altrimenti candida e immacolata, le orecchie leggermente appuntite, la piega delle spalle su cui si delineava uno dei suoi tatuaggi.
Nei momenti difficili si aggrappava al ricordo di quando erano giovani, e lo stringeva a sé come se fosse la sua unica fonte di conforto esistente in tutto il mondo.
E a quel ricordo faceva affidamento anche in quelle notti. Solo che temeva di essere cresciuto un po' troppo ormai. E che quei candidi ricordi fossero parte di un passato un po' troppo remoto.
Perché il profumo del suo corpo era così maledettamente invitante?
La musica non gli veniva quasi mai incontro, aveva l'impressione che ogni singola canzone lo volesse incitare a seguire i propri istinti. Mancava che Azul avesse caricato sul telefono Baciala de La sirenetta.
La sera in cui si erano salutati, il chitarrista gli aveva dato una vigorosa pacca sulla schiena strizzandogli un occhio e sussurrando "vai a meta ragazzone". E quando il calciatore lo aveva fissato sbalordito aveva aggiunto "fallo tuo!".
Tanto J stava scoperto, tanto Marco si aggrappava al suo pigiama.
«Pare una cintura di castità» gli aveva detto il pattinatore una sera prima di rannicchiarglisi addosso. «Dovresti provare a liberarti un po'.»
Marco aveva mugugnato qualcosa, cercando di ignorare ogni suo pensiero.
Non voleva violare il patto preso con se stesso, anche perché era così ovvio che il ragazzo ancora non stesse del tutto bene, i suoi frequenti sbalzi d'umore ne erano la prova lampante e gli attacchi di pianto erano diminuiti, ma non scomparsi del tutto.
Una sera J aveva insistito perché uscissero solo loro due, lasciando il resto del gruppo.
Mickey era stato raggiunto da Violet e si apprestava a fare quella che, agli occhi di tutti, sembrava un'uscita a quattro assieme a Yukine e Diego. Violet era al settimo cielo.
Mentre Marco li osservava allontanarsi non poté fare a meno di trovare il tutto molto strano. Soprattutto nel ripensare alla telefonate avuta quel pomeriggio con Axells.
Oltre a essersi interessato su come andasse con il pattinatore, il che l'aveva portato a domandarsi se i suoi compagni di band avessero altri pensieri per la testa oltre alla sua anemica vita sessuale, gli chiese come se la stesse cavando Mickey.
«Ti interessano i ragazzini adesso?» Aveva ribattuto in tono polemico il calciatore e a quel punto l'altro aveva subito cambiando argomento.
Quella sera, J aveva riso come un pazzo tutto il tempo. Un paio di volte lo aveva anche ripreso con il telefono, e Marco si era pure sforzato di mostrare un po' meno il broncio da orso e un po' più di denti, come richiesto.
Il pattinatore era particolarmente euforico e Marco voleva solo godersi il momento.
Voleva chiedergli di non smettere mai di ridere in quel modo, il mondo pareva farlo assieme a lui ogni volta, anche il cielo notturno pareva riempirsi di stelle soltanto per renderlo felice.
Il calciatore si sentiva stordito, confuso ma felice, non passavano tanto tempo assieme da prima che J si trasferisse, da prima che si sposasse. Era un fiume in piena di inebriante energia, che lo travolgeva e lo lasciava spiazzato, come del cibo dal sapore speziato e pungente che cercava di stravolgergli il palato.
Avevano corso da una parte all'altra, un centro commerciale, una lunga strada alberata, una piazza, Marco aveva perso il senso dello spazio e del tempo. J gli volteggiava attorno come un tornado, era irrefrenabile quando si lasciava andare in quel modo, passava al caos in un battito d'occhio, per poi riacquisire una quiete e una concentrazione unici.
Le emozioni per Marco però erano troppe tutte assieme, così quando J gli piroettò accanto afferrandolo per un braccio, lo scostò da sé bruscamente.
Il pattinatore sgranò i grandi occhi chiari, che si velarono immediatamente di lacrime.
Il pianto arrivò in un istante, il ragazzo curvò il volto in avanti scosso dai singhiozzi, il suo umore si era rabbuiato in un istante e le lacrime scorrevano copiose come un fiume in piena.
D'istinto Marco lo afferrò per le spalle temendo che inspiegabilmente potesse crollare a terra.
«Mi lascerai un giorno non è vero?» Gemette J, tremando.
Marco lo strinse forte a sé, mentre i singhiozzi scuotevano il pattinatore, non era più il ragazzino che aveva visto quel pomeriggio lontano, ma da quel giorno nel loro lungo percorso assieme non lo aveva mai visto così fragile.
«Mi porterà via anche te e forse me lo merito» singhiozzò J.
Il calciatore gli prese il volto tra le mani. «Mai! Come puoi pensarlo?»


Il vento furente rimbombava arruffandogli i capelli, un lampo lacerò il cielo, ma il ragazzo non sussultò.
Quell'espressione così casta e al tempo stesso provocante. Le labbra dischiuse, la veste bianca che gli fluttuava attorno.
Camminava a piedi scalzi sull'erba appena bagnata.
Gli porse la mano. Vieni da me, mio piccolo uccellino.
Si sdraiò sull'altare di pietra e inclinò la testa di lato, quel collo candido inquinato solo da quella lieve macchia.
Era sopra di lui, lo voleva, fremeva di desiderio.
Affondò le zanne nella pelle e la sua preda gemette.
Passò le mani lungo quelle gambe forti. Ansimava, voleva morderlo di nuovo, sentire il sapore del suo sangue. Si lasciò scivolare tra le sue gambe.
«Aspetta...» la voce di J lo raggiunse ansimante.
Marco affondò le zanne nella carne tenera e fragile, sollevandogli il ginocchio e tirando i piccoli fianchi verso di sé.
«A...Aspetta...» c'era una venatura di panico nella sua voce.
E Marco si svegliò di soprassalto madido di sudore.
Incredulo, aveva l'impressione di avvertire quel metallico sapore in bocca.
J si rannicchiò contro il suo fianco e sbuffò, aveva un'espressione contrariata adorabile, dormiva profondamente. Marco trasse un sospiro di sollievo.
Si sentiva in colpa come se lo avesse veramente morso ripetute volte, aveva la tentazione di controllare la pelle del ragazzo per appurare che fosse integra.
In sere come quelle gli pareva di sprofondare nel passato, alle notti in cui restava a dormire da J perché suo padre non voleva lasciarlo solo a casa, e si ritrovava da lui a guardare la TV.
Era stato J a proporre quella pellicola, e Marco si chiese perché non avesse controproposto qualcos'altro, visto i sogni che gli aveva suscitato.
Aveva sognato davvero di essere Dracula? E J era la sua preda?
Il calciatore si pose su un fianco, rimirando l'amico, non riuscì a trattenersi dal sfiorargli il collo con un lieve bacio su quell'adorata voglia. Maledì la sua mente che gli impediva di riposare.
Percorrendo il corpo del compagno con lo sguardo, non poté fare a meno di pensare al sogno appena fatto.
Alle sue labbra dischiuse, il collo candido, quel gemito soffocato nel momento in cui le zanne erano affondate nella carne.
Alla fine Marco afferrò la coperta ai suoi piedi e lo coprì, allontanando quelle membra dai propri pensieri.
Lo cinse da sopra le coperte, non voleva turbarlo ancora.
Cosa penserebbe J di quel sogno? Doveva cercare di non pensarci.




Mickey si appoggiò al balcone, come faceva a dirlo? Credeva davvero di essere innamorato di lui?
Eppure cosa c'era stato se non qualche breve momento di imbarazzo contornato da parole senza alcun senso?
L'ultima volta che lo aveva sentito, Axells gli aveva chiesto come proseguiva il tour e Mickey era stato così tentato di chiedergli di raggiungerlo.
Il cantante aveva nominato J per l'ennesima volta, pareva impossibile che nonostante provasse tanta avversione per il pattinatore non riuscisse a non infilarlo in ogni dialogo.
«Che stai facendo?» Gli aveva chiesto alla fine.
Vorrei lavorare al mio nuovo programma... ma riesco solo a pensare a te. «Niente... Stavo per andare a chiamare J, stasera usciamo tutti assieme e...»
«Già J...» aveva bofonchiato il musicista. «È al centro del mondo non è vero?»
«Quando fai così parli proprio come lui.» aveva sbottato il giovane pattinatore.
La conversazione era degenerata in un attimo e Mickey aveva riagganciato con le lacrime agli occhi.
Quando era sceso per uscire, e J li aveva piantati in asso, il ragazzo si era sentito un po' ferito. Aveva davvero voglia di stare con il suo più caro amico e ridere assieme a lui.
Era bello stare con Violet era venuta dall'altro capo del mondo apposta per lui.
Forse se lo sarebbe dovuto aspettare... La ragazza in un attimo di intimità si era dichiarata e lui non aveva potuto mentirle.
Ma davvero credeva di essere innamorato?
Violet aveva accusato il colpo con stile. «Chiunque sia è una persona molto fortunata.»
Mickey sospirò, certo... come no... Non lo pensava di certo, perché non lo sapeva e mai lo avrebbe saputo.
Quella mattina, forse mosso dalla sensazione di disagio che gli aveva lasciato addosso parlare con Violet, e dal sentirsi tanto distante da chi gli aveva rubato il cuore, Mickey decise che aveva uno scopo!
Se non era destino che lui fosse felice, avrebbe fatto l'impossibile per far sì che almeno i suoi amici potessero realizzare il loro amore. Che ne fossero consapevoli o meno, J e Marco erano destinati a stare assieme e Mickey avrebbe fatto loro da cupido!
Quella mattina con discrezione si era accostato a J non appena rimasto solo, doveva lanciargli l'amo!
Prima parlarono del più e del meno. Delle loro esibizioni durante il Gala, del tempo di tornare ad allenarsi...
Infine gli buttò lì l'informazione rubata a fatica a Violet nei giorni precedenti. «Povero Marco, doversi trasferire, cambiare squadra... Tu sapevi niente?» Il giovane pattinatore si morse la lingua quando vide l'espressione stupefatta dell'amico. Accidenti non aveva pensato che Marco non glielo avesse detto. «Beh forse aspettava che finissi gli spettacoli per dirtelo...» cercò di salvarsi sotto lo sguardo glaciale dell'amico. «Magari non voleva farti pesare che verrà nella nostra città.»
A quelle parole J ebbe un guizzo.
«Potremmo chiedergli di trasferirsi da noi!»
J lo guardò storto. Era già sufficientemente generoso per Mickey essersi offerto di ospitarlo consentendogli di lasciare la casa che condivideva con Vance. Ma non si aspettava che ospitasse anche Marco.
Il giovane pattinatore lo fissò con il sorriso più candido di cui fosse capace. «Andiamo, non possiamo certo lasciarlo vagare come un'anima in pena in cerca di un tetto sotto cui ripararsi.»
«Ti rendi conto che non stai parlando di un cane?» Gli chiese J vagamente divertito.
Mickey lo fissò serio. «Vorrei solo che passaste del tempo assieme... E che tu abbia modo di parlargli. Io... sento il peso di quello che mi hai detto... So che vorrebbe saperlo e che tu vuoi dirglielo! Se viveste assieme, forse a un certo punto potresti sentirti pronto e glielo diresti.» La voce si era fatta quasi una supplica. «Ho la fortuna di avere una casa grande che può contenerci tutti! Pensa ci starebbero anche altre quattro persone! Non sai quante feste ci ho fatto»
«Non è il divertimento che cerco e lo sai! Ho un'Olimpiade a cui andare... Potrei anche non farcela...»
«Ehi» lo interruppe Mickey. «Non ci pensare nemmeno! Tu ci sarai, ci saremo entrambi! E sarà fantastico!»
J sorrise, la determinazione di Mickey scaldava il cuore.




Marco chiuse gli occhi, la migliore vacanza della sua vita. Adesso però doveva tornare alla realtà e prendere una decisione. Afferrò il telefono e inviò una mail al suo agente.
Avrebbe accettato l'offerta. Un campionato più facile con la possibilità di giocare meno e allenare la squadra dei pulcini come secondo. Le sue ginocchia avrebbero di certo apprezzato.
Non era anziano, avrebbe potuto giocare ancora per un po'... Ma in quel modo avrebbe ottenuto quello che voleva. Si sarebbe avvicinato a J e avrebbe avuto più tempo da dedicargli, senza stargli eccessivamente addosso.
«Così pensi di trasferirti nella mia città?» La voce del pattinatore arrivò improvvisa.
Come faceva a saperlo? Aveva appena scelto di accettare. Poi si ricordò, lo aveva detto a Violet e lei lo aveva di certo detto a Mickey. Che branco di pettegoli.
Il calciatore si appoggiò allo schienale del sedile e lasciò correre lo sguardo oltre le nuvole.
Il viaggio era lungo, pareva interminabile e Marco lo aveva passato ascoltando la musica, mentre J esausto aveva dormito accanto a lui con lo schienale reclinato.
«Mi hanno fatto una proposta, ho accettato proprio adesso. Sarebbe un campionato più tranquillo, non dovrei giocare nemmeno troppe partite... è di certo la migliore offerta possibile.» Era un po' che voleva dirglielo in realtà, solo che non trovava mai il momento adatto. Non sapeva nemmeno perché avesse atteso, in fondo cosa voleva dire? Assolutamente niente, ma non voleva insinuare che nel loro rapporto sarebbe cambiato qualcosa.
«Potresti trasferirti da noi! A Mickey farebbe piacere, anzi me lo ha proposto lui. Credo tema che ti ritroveresti a vagare come un barbone» provò a scherzare il pattinatore.
Marco si voltò verso J, che lo fissava tranquillo, in attesa di una risposta.
«Non limiterei la tua, la vostra libertà?» Borbottò Marco incerto.
J sorrise malizioso. «È il tuo modo di chiedermi se esco con qualcuno? O se io e Mickey abbiamo una relazione?»
«Ma no! Con Mickey? Andiamo, è un ragazzino, l'ho detto anche ad Axells! E poi te lo chiederei direttamente non ti pare?» Sbottò Marco tornando a fissare le nuvole.
«Axells? Che c'entra ora Axells?» Chiese incuriosito il pattinatore, annusando uno scoop nell'aria.
«Non fa che parlarmi di Mickey, da un po' di tempo a questa parte. Perché ne parli con me e non con lui è un vero mistero! Se provi qualcosa per qualcuno devi dirlo al diretto interessato, non ti pare?» Proseguì senza guardare l'amico.
«Comunque no, non ho tempo per frequentare qualcuno al momento, non rischieresti visite a sorpresa... Tu piuttosto? Devo aspettarmi strani arrivi?»
Marco non si sorprese della domanda, dopotutto lo stava invitando a condividere lo stesso tetto, era lecito che volesse sapere. «No!»
«No cosa?» Chiese J.
«No, nella mia vita non c'è nessuno... A parte una certa persona che continua a pormi domande di cui conosce benissimo ogni risposta» sbuffò Marco.
J lo fissò in silenzio per un lungo momento. «E cosa sarei di preciso io per te?»
La domanda rimase sospesa nel vuoto, l'aereo aveva iniziato la discesa.





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NOTE dell'AUTORE: eccoci al capitolo 11, a giugno Johnny ha partecipato come di consueto al tour Fantasy on Ice!
Evento a cui partecipa ogni anno assieme ad un cast di pattinatori suoerlativo!


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