Non sono pronto.
E' questa la prima cosa che penso tutte le mattine, da due settimane a questa parte, appena apro gli occhi.
Oggi è il primo mercoledì di settembre, il che significa che il giorno che speravo non arrivasse mai, invece è arrivato.
Abbasso nuovamente le palpebre, come a convincermi di essere ancora in un sonno profondo, ma la voce di mio padre arriva ovattata da dietro la porta e poco dopo le sue nocche sull'uscio mi costringono a pizzicarmi un dito.
Sì, sono sveglio per davvero.«Shawn, sei in piedi?»
Non ho la forza di rispondere perché tutto ciò che vorrei fare in questo momento è voltarmi su un fianco e tornare a dormire come se fosse un giorno come tanti altri.
Ma purtroppo non lo è. Oggi non sarà affatto una delle mie solite monotone giornate.Sollevo la testa dal cuscino e mi metto seduto sul letto.
«Ah, allora sei sveglio! Ma hai ancora i piedi distesi sul letto... »
La faccia rotonda dell'uomo fa capolino nella mia stanza ed io mi sforzo di sorridergli, anche se ho un macigno che mi sta schiacciando il petto così tanto che la finestra della mia camera, in questo momento, mi sembra la soluzione migliore per porre fine alla battaglia che sta avendo luogo nella mia testa.
Ci ho pensato parecchie volte a mettere un punto alla mia vita, se così si può chiamare lo stato di allerta e angoscia costante con cui sono costretto a convivere, ma alla fine, l'unica cosa che mi ha impedito di compiere un gesto simile, era l'amore dei miei genitori verso di me, e del mio nei loro confronti.
Dopo tutto quello che hanno fatto per me, mi sarei sentito troppo in colpa nel...
«Come ti senti?» domanda mio padre avvicinandosi ai piedi del mio letto, cancellando completamente il pensiero - idiota - che mi ha appena attraversato.
Appoggia le mani da lavoratore, piene di calli e ferite, all'asse di legno e mi guarda da sotto gli occhiali sottili.Faccio un respiro profondo e, nel farlo, sento il cuore aumentare le pulsazioni.
«Verità o bugia?» chiedo alzando finalmente lo sguardo sulla sua figura. Lui mi osserva per qualche secondo, prima di accomodarsi accanto a me. Mi poggia il palmo sulla spalla e mi lascia un leggero bacio sulla nuca. Ed è un gesto che apprezzo molto.
Molti ragazzi della mia età rimarrebbero scioccati da una tale manifestazione d'affetto, ma a me piace. Mi serve, ne ho un infinito bisogno.
Sono questi piccoli baci e quelle carezze che mi fanno andare avanti nonostante tutto, che mi fanno davvero capire che, almeno per Thomas e Clara, sono in tutto e per tutto un ragazzo normale.
«E va bene, te lo dirò per l'ennesima volta. Shawn, tu non sei diverso da nessun altro ragazzo della tua età, okay? Non devi lasciare che la malattia prenda il sopravvento, che ti spezzi. Tu sei più forte e lo sai. Devi solo stare attento a certe situazioni, e quelle» dice indicando i due bastoni in ferro appoggiati al muro «ti aiutano soltanto a camminare meglio. Non farti scoraggiare da quello che credi pensino gli altri di te. Se tu sei il primo a credere in te stesso e a non abbatterti, vedrai che anche gli altri ti attribuiranno il valore che meriti. E poi, sai come la pensiamo io e la mamma: devi pensare solo a te stesso e non al giudizio delle altre persone»
Bel discorso papà, come tutti gli altri miliardi di volte. Vorrei fargli un applauso per come ogni volta riesca a farmi venire gli occhi lucidi, ma mi trattengo.
«Papà... ho vent'anni, è normale che quello che pensano i miei coetanei mi interessi. Non ho amici, te ne sei reso conto? Ti sembra una cosa normale? Io apprezzo quello che fate per me, davvero, ma... vorrei che nella mia vita non ci foste solo voi»
Dall'espressione che assume credo che la mia ultima frase sia un colpo basso.
«Non volevo dire quello che ho detto, scusa» mormoro abbandonandomi nuovamente con la testa sul guanciale.
«Invece era proprio quello che volevi dire, e hai pienamente ragione. E' per questo che ti sei, o meglio ti abbiamo, iscritto al centro. Per farti conoscere gente nuova e per farti vedere con i tuoi occhi che ci sono ragazzi messi peggio di te. Non sei un relitto Shawn, mettitelo in testa. Sei un bel ragazzo, alto, snello...»
«E malato» aggiungo.
Mio padre sospira per poi alzarsi ed avviarsi verso la porta della mia stanza.
«Vestiti e scendi a fare colazione. Siamo già in ritardo»
Guardo il soffitto illuminato dal sole di fine estate e ripenso alle frasi di mio padre: "non sei diverso da nessun altro ragazzo della tua età. Non devi lasciare che la malattia prenda il sopravvento".
«Sono un ragazzo normale» mi ripeto, e non so come, trovo il coraggio di alzarmi e iniziare la giornata.
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L'edificio che mi si para davanti è di un rosso accesso. Sembra un ospedale per bambini più che un centro di sostegno psicologico per adulti.
Sono ancora in macchina e sento come se i miei occhi avessero incrociato lo sguardo di Medusa. Ho i muscoli atrofizzati e non riesco a muovermi. Guardo fuori dal finestrino e vedo un anziano col bastone entrare dalla porta scura dell'ingresso.
«Tesoro, è meglio che tu vada»
La voce di mia madre sembra il cinguettio di un passerotto. E' dolce e soave, ma non riesce ugualmente a smuovermi.
Sono troppo agitato, ho la salivazione azzerata e non riesco a deglutire.
Ho paura, mi è concesso no?
Non è la prima volta che vedo uno psicologo ma la differenza è che se le altre volte eravamo solo io e lui, questa volta siamo in gruppo. Ci saranno tante paia di occhi su di me, dovrò presentarmi, dire il mio problema e al solo pensiero mi gira la testa.
«Ricorda quello che ti ho detto stamattina» interviene mio padre, posando il suo sguardo su di me attraverso lo specchietto retrovisore dell'auto. «Non curarti di quello che credi gli altri possano pensare di te»
Giusto. Ma è difficile. E vorrei dirglielo, vorrei urlargli che lui non può sapere come mi sento perché quello malato sono io e non lui, ma sto zitto.
Prendo un respiro profondo ed apro la portiera.
Afferro una stampella, poi l'altra, infine, lentamente, muovo la gamba destra fino ad appoggiarla sull'asfalto del parcheggio.
Faccio la stessa cosa con la sinistra e mi ritrovo in piedi accanto alla macchina con il cuore a mille e con la speranza che quelle due ore non saranno un disastro.
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The Fighter | S. M. {Conclusa}
FanfictionShawn è imprigionato dalle catene di una rara malattia, una malattia da cui non può guarire. Per questo è un ragazzo insicuro, diffidente, e il più delle volte pessimista. Si sente libero solo tra le mura della sua camera, con le dita appoggiate ai...