Capitolo 2 - Estraneo

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Mi avvicino a passo incerto all'ingresso della struttura scarlatta. Sulla soglia mi fermo e mi volto: la macchina dei miei genitori non c'è più. Se ne sono andati, forse per evitare che io ci ripensassi e tornassi da loro.

Sospiro e mi volto nuovamente per poi entrare. Un lungo corridoio si para di fronte a me. È vuoto e silenzioso e, forse per il suo color cadavere, mi ricorda un ospedale.

Sento qualcosa stringermi alla bocca dello stomaco. Ansia, paura, tensione? Direi tutte e tre.

Mi faccio coraggio e cerco qualcuno che possa indicarmi la stanza in cui si riunisce il gruppo di sfortunati come me. Col mio passo traballante avanzo fino a leggere, su una porta in fondo al corridoio, "segreteria".

Deglutisco e con la mano destra afferro la stampella sinistra, in modo da poter bussare.

«Sì, avanti» dice una voce maschile nascosta oltre il muro.

Abbasso la maniglia e apro la porta.

Da dietro l'enorme schermo di un computer spunta una chioma di capelli ricci e grigi. Poco dopo, il volto di un uomo sulla cinquantina, si sporge e mi sorride. Noto con stupore che tiene stretta tra le labbra una pipa... spenta.

Bizzarro, penso sorridendogli a mia volta.

«Tu devi essere Shawn, giusto?» mi chiede alzandosi in piedi e raggiungendomi.

Annuisco guardandolo da basso. Pur essendo molto alto, le stampelle mi costringono ad abbassarmi e a stare ricurvo, come un vecchio. Che odio.

«Seguimi, stanno tutti aspettando te» mi comunica, sempre e comunque sorridente.

Ah, quindi sono anche in ritardo? Perfetto. Devo essermi perso troppo nelle mie inutili riflessioni paranoiche e ho finito per arrivare ultimo.

Seguo l'uomo dalla pipa spenta e il cespuglio grigio in testa in silenzio, cercando di stare al passo con lui. Per fortuna, o per pietà, la sua camminata è lenta, quasi volesse aspettarmi.

Dopo due angoli e due corridoi, sulle cui pareti sono appese foto di ragazzi sorridenti, abbracciati e in cerchio, ci fermiamo davanti alla terza porta della giornata: la targhetta suffissa stavolta ha la scritta "gruppo arcobaleno - Jessica Collins".

Gruppo arcobaleno? Che diamine vuol dire?

Poi capisco, appena vedo l'interno. I muri sono completamente verniciati dei sette colori dell'arcobaleno, con qualche disegno qua e là sulle pareti. Si riconferma la mia idea: sembra di essere in un ospedale, per di più pediatrico.

Se tutto quel mix di colori ha lo scopo di mettere allegria e gioia a dei bambini, allora okay, ma a me sembra solo un pugno nell'occhio.

Il mio sguardo si posa, solo successivamente, sulle persone che occupano la stanza.

Sono uomini e donne più grandi di me, lo noto subito, e se prima ero a disagio al solo pensiero di dover parlare dei miei problemi a dei perfetti sconosciuti, ora, vedendo quelle sette facce barbute, serie e inquisitorie, lo sono ancora di più. In questo momento mi sento un alieno sulla terraferma, un perfetto estraneo e non vorrei avere vent'anni.

Vorrei essere ancora minorenne, almeno, forse, mi avrebbero inserito in un gruppo di coetanei.

«Jessica, ti ho portato Shawn!» esclama l'uomo al mio fianco tenendo il suo oggetto transizionale - la pipa - in una mano.

«Ciao Shawn, entra pure e siediti accanto a me» dice Jessica. La sua voce è squillante e allo stesso tempo molto dolce, ma non riesce in ogni caso a spegnere il disagio che provo nell'essere al centro dell'attenzione.

The Fighter | S. M. {Conclusa} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora