E' da questo pomeriggio che non faccio altro che messaggiare con Riley, nonostante lei sia ancora di turno al bar. Subito dopo essermi buttato in quella che credevo sarebbe diventata la figura di merda più epica della storia – cioè dopo averle chiesto se le andasse di uscire insieme quella sera – ci siamo scambiati i numeri di cellulare, perché, secondo lei, sarebbe stato più facile sentirci per qualunque cosa, e in effetti aveva ragione. Mi chiedo come mai non mi fosse venuto in mente prima.
Le ho appena inviato un messaggio per salutarla, dato che, almeno per me, è già arrivata l'ora di cena, dicendole che ci saremmo visti più tardi e che sarei passato io da casa sua per presentarmi a suo padre, quando noto che lei sta ancora scrivendo.
Da Riley:
Va bene, ti aspetto. Non mi hai ancora detto dove andiamo però! Come mi devo vestire?
Sorrido leggendo quelle parole.
Ci ho messo un po' a trovare un luogo in cui poterla portare, o meglio, dove lei potrebbe portare me, visto che è lei quella tra i due ad avere la patente, ma alla fine ce l'ho fatta.
A Riley:
E' una sorpresa, ma vestiti comoda e assicurati di avere benzina a sufficienza.
Digito velocemente la frase sulla tastiera del display e metto in carica l'aggeggio elettronico, prima di scendere per cenare insieme ai miei genitori.
-
«Tra poco esco!»
La mia esclamazione, sopraggiunta nel bel mezzo di una discussione su quanto il pollo di zia Amelia sia più buono di quello di mamma, frena di colpo le parole dei due adulti seduti di fronte a me.
Entrambi si voltano nella mia direzione, li vedo con la coda dell'occhio perché io, invece, me ne sto bellamente con lo sguardo sul piatto.
Mia madre inizia con un "Oh", mio padre la segue con un "Ah".
Beh, direi che come risposte non sono un granché, ma me le faccio bastare.
Ovviamente quelle due lettere di stupore durano soltanto per qualche secondo, giusto il tempo che gli ci vuole per metabolizzare ciò che il loro unico figlio ha appena sentenziato.
«Bene!»
Guardo mio padre incredulo, ma anche sollevato. La sua faccia è preoccupata, lo capisco dal sorriso che vorrebbe essere sincero ma invece è tirato, tuttavia gli sorrido, contento che sia d'accordo e non abbia obiezioni.
«Vai con Camille?» mi chiede poi, pulendosi le labbra col tovagliolo.
«Con Riley» specifico, affrettandomi a dire che sì, è sempre Camille ma personalmente preferisco il suo secondo nome.
Lui annuisce, dopo di che lascia la parola al capo di casa: mia madre.
«Dove andate?» domanda la donna, la quale, a differenza del marito, è rigida come un manico di scopa.
«Al Cape Fear River» rispondo, pronto a sentire il suo disappunto.
Lei, come volevasi dimostrare, sgrana gli occhi.
«Non ti sembra un po' troppo lontano, Shawn? In più sono già le nove di sera, è buio pesto. E questa ragazza da quanto la conosci? Una, due settimane al massimo. Io non mi fido» dice, portandosi una mano alla bocca per poi accanirsi sull'unghia dell'indice.
Mi alzo in piedi, un po' perché ho finito di cenare e un po' per far valere il mio pensiero.
«Ma io mi fido, ed è questo che conta. Non penserai che me ne stia rinchiuso qui per sempre, o che metta il naso fuori di casa solo quando ci siete anche voi? Sono stanco di vivere sotto una campana di vetro!» sbotto, ma il mio discorso non è ancora terminato. «Sono grande, ho vent'anni e sono solo da tutta la vita. Non puoi privarmi di vivere, adesso che ho trovato qualcuno con cui potermi svagare, solo perché tu hai paura. Sei sempre stata la prima, insieme a papà, a ripetermi che sono un ragazzo normale, proprio come tutti gli altri, e sebbene io ancora non ne sia del tutto convinto, sto cercando di provarci ora, grazie a quella ragazza. Quindi, io stasera esco come farebbe un classico ragazzo della mia età.»

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The Fighter | S. M. {Conclusa}
FanfictionShawn è imprigionato dalle catene di una rara malattia, una malattia da cui non può guarire. Per questo è un ragazzo insicuro, diffidente, e il più delle volte pessimista. Si sente libero solo tra le mura della sua camera, con le dita appoggiate ai...