Sono nel parcheggio dell'ospedale da mezz'ora. Le mani sul volante e lo sguardo fisso davanti a me.
Non riesco a levarmi dalla testa il gesto che ho appena compiuto, sia per la sensazione che mi ha regalato, sia per il fatto di aver approfittato di Shawn e della sua condizione.
Sono in un limbo di emozioni: vorrei piangere per essere stata così sfacciata da baciarlo mentre lui non poteva reagire, e vorrei sorridere al ricordo delle mie labbra sulle sue, morbide e di un buon sapore.
Guardo l'orario attraverso il quadro dell'auto, mancano due minuti alle cinque. Sono stanca, gli occhi mi si chiudono, e sento il bisogno di dormire anche se non voglio, non riesco e non posso.
Giro la chiave e accendo il motore, faccio retromarcia e, a passo d'uomo, mi dirigo verso casa, dove, appena arrivo mi ritrovo mio padre ad aspettarmi.
È sul divano, la lampada appoggiata alla parete è accesa e gli illumina flebilmente il volto. Non sembra arrabbiato, ma preoccupato sì.
«Dove sei stata Riley? Ti ho sentito andare via due ore fa...» mi dice, la sua voce non è più squillante come al solito. È cupa e contrariata.
Abbasso il viso, triste per averlo deluso ancora, per la seconda volta dopo avergli comunicato di essermi licenziata e non avere, così, più un lavoro.
Tuttavia, dato che ho bisogno di sfogarmi e di piangere come si deve, decido di raccontargli tutto.
«Sono andata in ospedale. Shawn è in coma».
Pronuncio l'ultima parola a metà prima di cominciare a singhiozzare a dirotto. Mi butto tra le braccia dell'uomo, che per un attimo non dice nulla, si limita a stringermi forte in un abbraccio paterno.
Mi lascia sfogare, poi, quando percepisce che le mie lacrime sono in esaurimento, mi domanda cosa sia successo.
Gli racconto tutto, per filo e per segno, ogni minimo dettaglio della giornata, fino al mio rientro a casa poche ore fa. Non ometto nulla, nemmeno il bacio rubato.
Alfred mi accarezza la guancia bagnata e mi sorride.
«Sei una brava ragazza e una buona amica. Non ti devi preoccupare per Shawn, se continuerai ad andare da lui ogni giorno e a parlargli, vedrai che si sveglierà presto. E per quel bacio... tu pensi che lui non l'abbia percepito, ma non è così. Quando si è in coma, si sente tutto, è solo che non si può reagire, e credimi, se avesse potuto avrebbe certamente ricambiato» afferma, prima di continuare. «L'ho visto sai come ti ha guardata quando è venuto qui quella sera. I suoi erano gli occhi di chi è innamorato, fidati del tuo vecchio padre, che sì, ha divorziato due volte, ma ha amato tanto anche lui».
Quelle parole mi investono come un ciclone.
Beh, che Shawn prova qualcosa per me, lo avevo già capito, è solo che, se davvero ha sentito tutto, non so come potrebbe reagire al suo risveglio. Perché si sveglierà, è sicuro. Mio padre ha ragione, basta parlargli tanto e tac, come per magia i suoi occhi si apriranno e...
Forse sto sognando troppo. Devo cercare di rimanere con i piedi per terra, tuttavia, mentre risalgo le scale per tornare in camera, mi viene un'idea.
-
«Dimmi che l'hai salvata da qualche parte, Shawn» borbotto mentre, con il permesso del padre, cerco nella sua camera una copia della sua composizione. La cosa che mi viene in mente per prima è che possa averla registrata col cellulare, così lo prendo, lo sblocco con facilità dato che non ha nessuna password, e mi metto a cercare esclusivamente la melodia all'interno del registratore. La curiosità di farmi gli affari suoi è enorme, ma mi trattengo perché, come ha detto mio padre, sono una buona amica.
Niente. Non c'è.
Provo quindi ad accendere il portatile, magari l'ha registrata poi trasferita lì. Cerco per minuti interi senza trovare nulla.
Mi alzo di scatto, nervosa.
Possibile che un tale capolavoro non lo abbia salvato da nessuna parte se non nella sua testa? Mi rifiuto di crederlo.
Poi, appena poso lo sguardo sul pianoforte, mi viene un'illuminazione.
Ma certo! Lo spartito!
Mi precipito sullo sgabello, afferro le pagine pentagrammate e sfoglio fino a trovare il titolo che cercavo.
"Canto di un pettirosso in una mattina d'inverno"
Eccole lì, tutte le note che formano quella perfetta melodia.
Ora devo solo andare in ospedale e fargliela ascoltare.
Sì, ma come? Chi sa suonarla? Io no di certo.
Scendo le scale di corsa ed espongo la mia idea a Thomas, il padre di Shawn, il quale mi appoggia entusiasta ma confessa di non sapere suonare.
Cazzo, cazzo, cazzo.
«Potresti provare tu a suonarla, infondo ti stava dando lezioni, no?» dice infine.
I suoi occhi me lo stanno chiedendo supplichevolmente. Ci penso un attimo e arrivo alla conclusione che posso farcela, anzi, devo farcela. Devo farlo per Shawn, per il ragazzo che si è battuto per salvarmi, per il ragazzo che ho iniziato a guardare con occhi diversi.
Annuisco con vigore e torno, correndo e rischiando di inciampare, al pianoforte.
Mi siedo, prendo un respiro profondo e comincio.
Alla sera, sono ancora seduta lì. Non mi sono mai alzata, mai.
La mamma di Shawn, per quanto l'abbia sentita borbottare col marito sulla mia presenza in casa sua e sul fatto che la condizione di Shawn sia colpa mia, mi ha portato da bere e da mangiare, ma io non ho toccato nulla.
Non posso perdere tempo. Devo suonare. Devo imparare quella melodia nel minor tempo possibile e mi sto incazzando perché sono già le dieci di sera e, nonostante abbia imparato tutte le note, continuo a sbagliarla.
«Riley è tardi, tuo padre è di sotto che ti aspetta» dice Thomas facendo capolino nella stanza.
«Non posso, la prego mi faccia finire, ci sono quasi. Devo solo...»
«Sei stanca, dovresti riposare. Continuerai domani» continua l'uomo.
Scuoto la testa con vigore, mentre le mie dita continuano a suonare come impazzite.
«Ogni secondo in cui non suono é una possibilità per Shawn di non svegliarsi più, ed io non posso permetterlo»
Dico quella frase con le lacrime agli occhi, ma non mi fermo nemmeno per asciugarle.
Sento che ci sto riuscendo, e ordino all'uomo alle mie spalle di attivare il registratore del suo cellulare.
Lui esegue, e poggia l'oggetto sullo strumento.
Prendo un respiro profondo, mi concentro e ricomincio.
Ascolto la melodia ad occhi chiusi, i miei polpastrelli fluttuano sui tasti neri e bianchi con leggerezza fino alla fine.
Quando riapro gli occhi, nella stanza non siamo più solo io e Thomas, ma ci sono anche Clara e mio padre.
Rimangono tutti a bocca aperta, poi scoppiamo insieme in un pianto di conforto e speranza. Abbraccio mio padre e suggerisco di andare immediatamente in ospedale.
Spero tanto che in questo modo, il bel morettino riapra gli occhi e torni da noi.
Da me.
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The Fighter | S. M. {Conclusa}
FanfictionShawn è imprigionato dalle catene di una rara malattia, una malattia da cui non può guarire. Per questo è un ragazzo insicuro, diffidente, e il più delle volte pessimista. Si sente libero solo tra le mura della sua camera, con le dita appoggiate ai...