Capitolo 13 - Pic Nic

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Il mercoledì mattina successivo, al centro, ripenso a ciò che Riley mi ha detto due sere prima.

Vorrei concordare con lei quando dice che essere malati non è una vergogna, ma, pur sforzandomi, non ci riesco. E' vero, posso essere speciale perché diverso dagli altri, ma come fa ad essere una positività? Cioè, se non avessi quello che ho, se fossi un ragazzo come tutti gli altri, potrei fare qualsiasi cosa desiderassi: correre a perdi fiato, ballare scatenandomi al ritmo della mia canzone preferita, potrei saltare, potrei, potrei...

Tutto al condizionale.

L'unica cosa di cui non mi lamento, è che per suonare devo stare seduto. Almeno quello.

Certo è che non posso vivere tutta la vita attaccato ai tasti di un pianoforte. Mentre suono, sono nel mio mondo, chiuso tra le mie nuvole, nel mio personale paradiso, ma appena giunge l'ultima nota, quelle nuvole vengono spazzate via da una raffica di vento e tutto torna alla normalità.

Se solo avessi un pizzico dell'ottimismo che ha Riley...

Mi immagino il suo volto, l'altra sera nella sua auto, quando le ho detto di essere malato.

I suoi occhi sono rimasti impassibili, le sue labbra immobili.

Non ha detto "mi dispiace", né "poverino" e gliene sono enormemente grato, perché ogni volta che mi è stato detto sono finito dieci metri sotto terra per la tristezza e la vergogna.

«Shawn, sei con noi?»

Sento una voce chiamarmi e dire qualcos'altro, ma solo dopo aver aperto gli occhi, mi ricordo di essere seduto sulla solita sedia del centro, nella stanza arcobaleno, con Jessica al mio fianco.

Almeno gli occhi potevi tenerli aperti, idiota.

Mi sistemo meglio sullo scomodo materiale che sta sotto al mio sedere e sorrido.

«Sì, certo, scusami» riesco a blaterare, ma dall'espressione che mi rivolge la donna capisco che non crede a una sola parola.

Distolgo lo sguardo dal suo, a disagio, e come al solito sento il calore partire dai piedi e arrivarmi alle punte dei capelli.

«Shawn, noi tutti siamo qui per ascoltarti e se hai dei pensieri, delle preoccupazioni... parla pure liberamente» dice, ancora.

Giro il volto verso di lei, la scruto, scruto i suoi occhi gentili, le sue labbra morbide a forma di cuore, poi rivolgo lo sguardo ai membri del gruppo. Nessuno di loro mi ispira fiducia, e questo è un problema, dato che sono qui per questo, no? Per sfogarmi, per esternare le mie paure...

«Il problema è che io non voglio sfogarmi con voi. Vi ho già detto cos'ho e perché sono qui, ma i miei pensieri voglio tenerli per me e per...» freno. Al solo pensiero di stare per pronunciare il suo nome davanti a tutti perdo un battito. Rimango con le labbra a mezz'aria per qualche secondo, poi mi ricompongo. «Mi serve una boccata d'aria»

E con la solita frase che rifilo ogni volta che me la voglio svignare, mi alzo, prendo le stampelle e li lascio soli alle loro inutili discussioni.

Peccato che i miei abbiano già pagato fino a giugno.

Mi dirigo senza indugi verso il bar dove trovo Riley intenta a servire un ragazzo. E' alto, ha il fisico asciutto ed è in tuta. Li sento chiacchierare animatamente e quando lui, alla fine, si volta lo sento dire "Ciao Cami" con una scioltezza che mi trafigge.

Avrei preferito che non si voltasse: ha la barba, è abbronzato e ha gli occhi azzurri. Decisamente un bel ragazzo.

Non so, ho come l'irrefrenabile voglia di sputargli addosso, anche se in vita mia non ho mai sputato da nessuna parte se non nel lavandino dopo essermi lavato i denti.

The Fighter | S. M. {Conclusa} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora