Capitolo 18

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<Si svegli signorina Schneider siamo arrivati a Altstradt>

Mi scostai dalla posizione che avevo assunto per tutto questo tempo, infatti avvertì immediatamente una fitta al collo cercandolo di
addirizzarlo. Appena aprì gli occhi, vedi i colori scuri di un pomeriggio
invernale attorno la nostra auto, e accanto a me l’uomo che molto
probabilmente aveva guidato per tutta la giornata.

<Questa notte non avevo chiuso occhio> <Ed è crollata in auto> annuì e produssi un “mh” ancora arrossata

<Se proseguissimo a piedi riusciremmo a raggiungere la farmacia dei Müller, è da quella parte riesce a vederla?>

<Sì> sospirai, non riuscì a credere che fossi ad un passo dalla scoperta, ma mi spavento il solo pensiero di un buco nell’acqua.

<Ha paura?> disse il ragazzo, coprendo la mia mano sinistra con la sua, non gliela strinsi, le mie mani tenevano i manici della mia borsa, ma di sicurò sentii che apprezzai, già il non averla scostata fu una spiegazione.

<Sì, tremendamente paura> <Non si preoccupi, troveremo una strada diversa per trovarla se questa non dovesse essere quella giusta> annuì e scesi dall’auto.

Ci affiancammo e Kӧhler gentilmente mi porse il braccio, io accettai e ci incamminammo sul marciapiede. La prima facciata del laboratoriofarmaceutico si presentava minimalista, non troppi dettagli erano esposti, vigeva in alto una scritta “Müller Apotheke”

Entrando dei campanellini attaccati al di sopra della porta suonarono richiamando l’attenzione del dottore in camice bianco, si presentava molto colto, anche la sola postura esprimeva un tono di quasi superiorità. Ci avvicinammo non curanti di questo dettaglio e ci presentammo al suo cospetto

<Salve, cerco l’infermiera Blackmore> biascicai tra uno sguardo tra l’uomo al mio fianco e il farmacista

<Non la chiamano “infermiera” dai tempi della guerra> si lasciò in una piccola risata che fecero allontanare da lui l’idea che mi ero fatta

<Immagino sarete vecchie conoscenze – fece una pausa durante la quale io annuì – vi accompagno subito da mia moglie>

Si girò e andò a chiamare suo figlio, in modo da poterlo sostituire al bancone, che per io momento si era allontanato, poi ci fece segno di seguirlo.

Salimmo delle scale esterne, poi busso all’enorme batacchio a forma di leone sul portone.

Rimasi agitata per tutto il tempo, apparentemente non avevo nulla da perdere ma parallelamente avevo tutto.

Non appena aprì la porta, lo guardo di una signora ormai invecchiata vacillò tra il marito e noi due <Questi ragazzi hanno chiesto di te, li conosci?> disse il marito, ma non ricevette risposta, ci fermammo a guardarci per un tempo quasi smisurato <Credo si conoscano> disse ironicamente rivolgendosi a Kӧhler

<Venite dentro> si sbloccò finalmente facendo entrare tutti noi, fino a guidarci all’interno della casa, che se pur piccola dava l’idea di esserci
molto amore e calore, contrariamente a ciò che si potesse immaginare
come casa di un signore come suo marito

<Posso abbracciarti?>
Io non le risposi, agì di impulso e la strinsi tra le mie braccia dolcemente, neanche di lei seppi granché durante quegli anni in cui girammo la Germania, ma si era sempre dimostrata disponibile, lei è la signora Dawson erano quelle con più esperienza nella nostra squadra se pur concentrate in diversi campi della medicina facevano sentire molta unione

<Questo deve essere tuo marito> disse scostandosi dall’abbraccio e porgendo la mano al mio accompagnatore <No, lui è il signor Raul Kӧhler, mi sta aiutando nelle ricerche da quando sono arrivata in Germania dagli Stati Uniti>

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