Capitolo 7

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Entrai nella cabina che mi era stata assegnata e rimani inchiodata sulla soglia per qualche secondo.

Vi era, a pochi passi da me, una ragazza, con solo una valigia accanto al letto di fronte al mio.

<Ciao> tentennai, chiudendo la porta preparandomi per le presentazioni. <Sono Anaїs, credo proprio che divideremo la cabina>

Ricambiò il saluto con un cenno del capo e afferrò la mia mano
<Piacere, Xenia>

Era una donna sulla trentina, non molto più alta di me. Mi colpirono fin da subito le sue labbra, erano così sottili, tanto da rendersi invisibili alla chiusura bocca, ma i suoi occhi, quelli non potevano nascondersi. Un azzurro vivo, molto più del mio, si ci poteva specchiare a momenti.

<Una volta arrivata ad Amburgo per dove proseguirai?> mi chiese, arricciando una ciocca dei suoi capelli corti fulvi con un dito mentre attendevamo il cameriere venisse a raccogliere le nostre comande per il pranzo. Eravamo entrambe sole e decidemmo di farci compagnia a vicenda.

<Prenderò un treno per Berlino> accennai un sorriso. <Anche io, solo
che mi fermerò a Potsdam,praticamente una fermata dopo> annui ma aspettai a risponderle dato l’arrivo del cameriere che si fermò solo per lasciare i coperti e il menù

<Sono solo stata in America per un mese con i miei zii materni data la loro salute precaria, ma ora è il momento di ritornare a casa da i miei bambini, Berlino è la tua città natale>

<Sì, ma vivo a New York ma quando ero una bambina>
Quel giorno non approfondimmo più l’argomento, ci interruppe finalmente un nuovo cameriere con un piccolo diario, pronto di sapere che cosa ci
avrebbe fatto piacere mangiare.
Affrontammo argomenti molto più futili durante i giorni.
L’intero viaggio durò sei giorni, non vedevo l’ora di arrivare a destinazione.

Le giornate furono molto fredde, come quelle di New York, sapevo che una volta arrivata in Germania la situazione non sarebbe cambiata, ricordavo a mie spese i freddissimi inverni tedeschi.

Arrivammo ad uno dei St. Pauli-Landungdbrücken, ad Amburgo. Decidemmo di proseguire insieme, Xenia ed io, fino a Berlino, per poi prendere strade diverse.

<Ecco quello è il nostro treno!> indicò il convoglio che si stava avvicinando sempre più lentamente al binario in cui eravamo ferme.

Scese una grossa folla, tant’è che mi avvinghiai al suo braccio mentre lei si faceva strada all’interno. Con documenti e biglietti in mano prendemmo posto, accanto a due signori che con galanteria, ci aiutarono a mettere i bagagli nella cappelliera, poi si fecero di lato facendoci passare e infine non ci calcolarono affondando la loro faccia paonazza nelle gazzette quotidiane.

<Anaїs, hai una brutta cera, sicura di stare bene?> i realtà ebbe ragione, non mi sentii nel migliore dei modi, l’arrivo e la corsa in stazione mi sfiancarono molto, l'intero viaggio mi rese fiacca.

<Tutto bene, solo un capogiro> si tranquillizzò apparentemente e si concentrò sul panorama innevato di metà gennaio.

<Sai già dove fermarti quando arriverai nella tua città natale, nella casa della tua infanzia?> la sua faccia cambiò espressione, si ricordò che forse era improbabile che una mia ipotetica casa dell’infanzia fosse in piedi dopo i bombardamenti.

La sua domanda portò i mie pensieri a Berlino, dove da lì a poco mi sarei scontrata con la verità.

<Per qualche giorno risiederò in un hotel, poi mi metterò alla ricerca di
una casa nel caso dovessi prolungare la mia permanenza> quella domanda era legittima alla fin fine, non le raccontai il vero motivo della partenza, non ne vedevo la necessità. Lei fu molto discreta e non mi chiese nulla.

Non appena vidi dei paesaggi familiari, e non così trasformati dal
tempo e dalle ristrutturazioni, mi resi conto di essere vicina alla mia fermata.

<Questo è il momento> guardai Xenia, che capì e si alzò dopo di me, permettendomi di prendere il mio bagaglio, vi era più spazio da quando i due signori scesero qualche fermata prima.

<Buona fortuna> mi disse avvolgendomi in un abbraccio sincero, e io ricambiai.

Ultimamente non fecero altro che augurarmi buona fortuna.

Bravura o destino, nella ricerca mi sarebbe servita proprio la fortuna.

Camminai per tutta la grande stazione finché non trovai l’uscita dove presi un taxi. <Buona sera, mi sa dire la destinazione?> mi domandò gentilmente l’autista. Ma mi mise subito in difficoltà.

<Non di preciso purtroppo, mi sa indicare lei l’hotel più vicino a Rotes Rathaus, nella zona est?> annuì subito per fortuna <Certo, non si preoccupi>.

Tirai un sospiro di sollievo e mi risollevai. Le strade principali che stavamo percorrendo erano completamente nuove per me, queste erano cambiate radicalmente.

Lasciai una Berlino del ’45 completamente piegata, tutto distrutto. Noi infermiere andammo via, le necessità non erano più i soccorsi sotto le bombe ma cibo e tutto quello che i civili avevano perso in quegli anni.
Purtroppo ne eravamo impossibilitate persino noi.

Vedere quella città in piedi e così vigorosa mi mise felicità. Molte di quelle persone che ho visto morire o salvarsi non avevano nessuna colpa di quella guerra.

<Ecco, siamo arrivati, quello che vede di fronte a lei è il municipio, mentre quello alla sua destra è l’hotel più vicino> sorrisi e lo ringraziai.

Ero molto grata dell’aver trovato quell’albergo, la distanza era esattamente quella giusta, mi sarei risparmiata lunghe camminate.

Non iniziai le ricerche quella sera, indagini come quelle richiedevano lucidità, fui troppo stanca per averne abbastanza quella sera.

ᴛɪᴍᴇʟᴇss⏳Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora