Capitolo 20

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Quando il taxi mi riaccompagnò a casa, il mio viso si presentò come un foglio, quando lo si accartoccia e lo si getta nel cestino. Il mio viso dava quei segni, ma ad ordinaglieli fu la mia anima.

<Signorina Schneider, ha una brutta cera? Sta bene?> mi voltai a quelle parole, il signor Kӧhler mi sorprese mentre cercavo disperatamente di aprire il portone del palazzo

Non gli diedi una risposta, gli rifilai una smorfia, la migliore che potessi fare in quel momento, sguardo perso, sorriso tirato e un sospiro.

Quello del brutto presagio.

<Aspetti, ho io la chiave giusta> afferrò il piccolissimo mazzo di chiavi dalla tasca e io mi misii di lato, il mio gruppo di chiavi sembravano improvvisamente appartenere ad altre serrature meno che quella.

Una volta dentro mi fece entrare per prima e io aspettai che chiudesse la porta alle mie spalle.

<Ha avuto una pessima giornata, non è così?> mi seguì per i gradini e fui subito certa che non mi avrebbe lasciata andare senza aver scoperto cosa avessi

<Ho trovato Edna> buttai lì la cosa, come se stessi parlando della spesa giornaliera. Di colpo non sentì i passi dell’uomo dietro di me.

Mi voltai, il suo viso si presentò incredulo e la sua posizione inerme, il cappello in testa, lo giaccone sul braccio sinistro e la ventiquattr’ore nella mano destra

<Sta dicendo la verità? Oh santo cielo, è fantastico – terminò così il suo silenzio – venga, ne parliamo meglio di sopra>
Mi superò facendo due gradini alla volta, arrivando al suo appartamento. Dopo essermi trascinata su per le scale, sbirciai dalla porta del mio vicino di casa, me la lasciò aperta così che potessientrare.

Quando mi feci spazio all’interno, sul divano vi furono distese
sguaiatamente giacca e cappotto.

Quando mi voltai lo vidi di spalle,
capo chino in avanti, alla ricerca di qualcosa nella sua valigetta

<Alla fine i documenti di nascita li avevo trovati, penso che nessuno ne
sia a conoscenza di questi dati, erano rifilati in faldoni pronti per essere
bruciati>

Si voltò con sguardo fiero e sorriso smagliante dicendo quelle parole,
ma il sorriso gli morì addosso vedendo la mia faccia

<Non servono più> ebbi di nuovo la voce tremolante, odiavo farmi vedere così sguarnita. Imparai fin da subito a non apparire così, fin dai primi tempi in cui morirono i miei genitori, ma improvvisamente tutti gli anni di pratica morirono insieme alla mia voglia di rimanere impassibile nonostante dentro sentissi i pezzi del mio cuore infrangersi.

Raul lasciò sul tavolo i fascicoli confusi e disordinati per raggiungermi sul ciglio della porta.

Compì grandi falcate verso di me in pochi secondi.

Poggiò le sue mani sulle mie spalle e punto i suoi occhi scuri nei miei chiarissimi quasi come per capire che pensieri nascondessero

<Le va di raccontarmi?> scandì le parole e io annuì.

Chiuse la porta e ci dirigemmo in soggiorno, mi sedetti su una poltrona di fronte l’uomo

<Ho deciso di andare al convento, una sorella sentendo le mie parole,
si ricordò della storia di Edna quando arrivò alla badia, ma intuendo le mie intenzioni non ha voluto farmela vedere>

Omisi i dettagli, un riassunto mi parve la via più facile. Non mi rispose, i suoi gomiti poggiavano in avanti, sulle proprie ginocchia, parve stregato nel suo sguardo, perso in un punto qualsiasi.

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