Capitolo 2

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Mi alzai di buona lena il mattino seguente, ero determinata ad apparire nel più decente dei modi, le lacrime che avevo versato la sera prima non avevano contribuito a farmi avere occhi senza gonfiore.

Un timido sole faceva capolino della finestra posta a sinistra del letto e dalle tende color panna. Già da quei flebili raggi, si poté predire una giornata soleggiata, di certo non fece altro che rendermi di buon umore.

Quel giorno scesi al piano di sotto solo quando ebbi terminato di prepararmi, maglia di lana lavorata bianca e gonna beige a vita alta con un piccolo cinturino nero.
Avendo abbastanza tempo potei dedicarmi di più al make-up e anziché raccogliere diligentemente i capelli in uno chignon come ogni mattina lavorativa mi permisi di lasciarli sciolti così da averli morbidi sulle spalle.

Nel cassetto "della confusione", il nome che gli diedi spiegava tante cose sul mio disordine (che era anche il mio ordine), ma in realtà gettavo lì dentro ciò che non serviva quotidianamente, presi dal suo interno, dopo tanto tempo che non ne facevo uso, una pinza per schiaccini per riparare la mia collana.

Potevo dirmi soddisfatta, ero molto indipendente su questo aspetto, in casa riuscivo ad aggiustare di tutto, dall'appendere un quadro al riparare una mensola, forse me la cavavo un po' meno con l'idraulica, ma non ebbi problemi seri da quando abitavo in quella casa.

Finalmente tra una cosa e l'altra la mattinata passò e il batacchio della porta di ingresso si fece sentire.
<Svelta! Svelta! Con i bambini abbiamo fatto tardi e, da casa tua, il ristorante dista una quarantina di minuti>.

Ecco il buongiorno adeguato! Quando aprii la porta trovai mia sorella intenta già a scendere le scale del mio pianerottolo fino ad aspettarmi davanti la portiera così da farmi salire. La seguii di coda prendendo il mio capotto e la mia borsetta di pelle lucida nera, chiusi la porta e mi accomodai nei sedili posteriori della Henry J di mio cognato, proprio al centro tra i miei nipotini che mi abbracciarono calorosamente per poi tornare ai loro giocattoli.

<Buongiorno famiglia, il mattino ha l'oro in bocca vedo> feci sorridere (forse per la prima volta quel giorno) Annika e Trevor.
<I tuoi nipoti ci manderanno al manicomio> disse Trevor
<Esagerato> ridacchiai abbottonandomi i primi bottoni del capotto che avevo infilato una volta entrata in macchina. <Credo di dover dare ragione a lui... quando uno dei due è pronto, tu vai a preparare l'altro ma succede che malauguratamente versa il succo di mela sul maglione dato che tuo marito non gli ha dato troppa attenzione e quindi devi ricominciare tutto da capo> si volta verso Trevor che sta facendo di tutto per non ridere cercando di concentrarsi sulla strada per poi voltarsi dietro per incontrare i miei occhi
<Ma nota bene! Questi sono fatti puramente casuali>

<Certo solo un esempio. Ovvio.> era una frottola, sapevamo tutti che il monologo era assolutamente veritiero.
<Ho cercato di impedire a Giselle di farsi la doccia di mele ma non potevo di cer...> <Taci Trevor!> lo fulminò Annika.

Era così eligia al dovere, forse era così che si diventava quando si aveva marito e figli. Mi avvicinavo a comprendere i comportamenti schematici delle mie vicine di casa.

<Allora, cosa indosserai questa sera alla tua festa di quartiere?> non aspettò un secondo di più una volta che prendemmo posto nella sala del ristorante.

<Un bel nulla, come ti ho detto ho la sveglia all'alba domattina, e poi bisogna portare un dolce o un qualcosa di fatto in casa ed io non ho né il tempo e né le capacità per farlo> la guardai con aria di sfida e lei ricambiò fissandomi dritta negli occhi.
<Si dà al caso che questa mattina, all'alba abbia preparato una buonissima Angel food cake, te la cedo volentieri> mi aveva incastrato, ancora!

<Se proprio la festa non ti piace posso sempre offrirmi volontario per provare la torta> ci girammo all'unisono verso Trevor che si era immischiato nella guerra fra Titani.
<Quante volte devo dirti di tacere oggi!> per poco non alzò troppo la voce.

<Ehi scherzavo Annie, non ti inalberare> mia sorella evitò di rispondere così lo feci io.
<Va bene, andrò alla festa dei miei adorati vicini di cui non so il nome e di cui non mi importa saperlo> recitai tutto quanto come una cantilena alzando gli occhi al cielo, facendo spuntare sul viso di mia sorella un sorriso soddisfatto e facendole assumere le più fiere delle posture.
Mi aveva intrappolata con i suoi modi pressanti, ancora una volta.

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