Capitolo 3

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Alternai lo sguardo tra il grosso ciambellone sul ripiano della mia cucina e l’orologio
con il cinturino nero e la cornice del quadrante dorato che avevo
sempre al polso, segnava le diciannove e trenta, era in momento!

Presi la torta che era avvolta in carta colorata e mi diressi
alla porta, rivolgendo ad essa le stesse attenzioni che le rivolgevo ogni
qual volta che uscissi di casa e con passo attento a non cadere arrivai
all’oratorio della Chiesa cittadina, non vi fui mai entrata in quella sala,
ma erano sempre lì che si svolgevano le feste di quartiere.

Appena entrai fui accolta dallo strillare dei bambini che correvano di
qua e di là, vi erano molte persone, alcune le conoscevo, se pur di vista.

Appoggiai la torta su un lungo bancone che si divideva in metà salato e
metà dolce dopo di che mi accinsi a togliere con cura la carta che lo
avvolgeva.
<Ciao Anaїs… giusto?> voltandomi a sinistra trovai una signora che
poteva avere all’incirca qualche anno più di me. Mi alzai e assunsi una
postura eretta stringendo la mano che mi aveva allungato
<Esatto, molto lieta>
<Io sono Madeline, abitiamo accanto ma non
abbiamo mai avuto l’onore di presentarci> sussurrai un flebile “vero” annuendo per poi guardare in basso

<Posso presentarti qualcuno? Non
credevamo venissi, anche se ci speravamo, è stato soddisfacente il tuo mantenere l’anonimato in un quartiere in cui le uniche anime
sconosciute sono i fantasmi> ridendo mi mostrò con la mano la sua
destra facendo riferimento alle persone dietro di lei.
Smise di ridere dopo essersi accorta essere la sola tra di noi.

<Certo con piacere> e così le feci il favore di toglierla dall’imbarazzo.
Inizio a camminare e si fermo a un gruppo di coppie che parlavano ridendo e scherzando con i loro bicchieri di vino bianco in mano.

Gente tirata a lucido per l’occasione, uomini con cravatte ben salde alle proprie camice e donne con tacchi alti e pettinature perfette.

“Caro” esortò quello che ho scoperto essere suo marito, a mettersi di
lato e farla passare. <Ho il piacere di presentarvi Anaїs, abita nel 587>.
Alzai la mano in segno di saluto e tirai un sorriso sincero, tutti mi
salutarono in modo socievole ed era una vita che non ricevevo questo
genere di attenzioni.

<Cara, ti vedo ogni mattina passare, sei sempre impeccabile> arrossii.
<Sì, vado al lavoro al mattino molto presto, devo camminare per due
isolati e non mi va di andare di fretta fino a procurarmi delle brutte
vesciche ai piedi> accennai una piccola risata che coinvolse tutti

<Come ti capisco> disse una signora sulla quarantina con dei riccioli
biondissimi e rossetto rosso sulle labbra.

<Non hai qualcuno che possa accompagnarti ogni mattina?> si rivolse a me un signore che vidi per la prima volta, molto probabilmente non abitava proprio nei miei pressi. Mi feci forza e
risposi con calma.

<Purtroppo non più, sono vedova da nove anni quest’anno>quest’affermazione gelò la piccola comitiva ma mi sforzai di sorridere.
<Com’è successo? Se non sono invadente, sei così giovane…> disse un uomo alla mia sinistra

<Oh beh, avevamo diciotto anni quando ci siamo sposati, ci frequentavamo già da due, dopo di che scegliemmo la mia attuale casa e l’acquistammo era perfetta per poterci vivere insieme. Si arruolò nei marines credendo che sarebbe stato trasferito al New York Harbor, ma così non fu, lo trasferirono a Pearl Harbor. Nel giro di pochi mesi fece molta carriera fino ad arrivare ad essere luogotenente, era uno dei migliori. – feci una pausa guardando i miei interlocutori, erano visibilmente toccati, quasi mi dispiaceva dovergli
proporre il triste epilogo. Anche se erano quasi consapevoli della fine della storia, avendo pronunciato quel porto – Morì sotto le bombe del 7
dicembre del ’41.>

Madeline mi mise le braccia intorno alle mie, visibilmente scossa <Santo Cielo Anaїs, deve essere stato orribile per te, così giovane> ricambiai il castissimo abbraccio sincero.

<Sì, devo ammettere che non fu molto semplice, non lo è tutt’ora, è la
prima volta che lo racconto> tirai un sorriso, uno dei più sollevati degli
ultimi anni.

<Mi dispiace molto ad aver riportato alla luce dei ricordi così dolorosi>
disse l’uomo che mi aveva posto la domanda

<No anzi, credo che sia stato di aiuto, dopo la sua morte sono rimasta lontana da casa nostra, ma da quando sono tornata mi sono chiusa a guscio, molto probabilmente la compagnia è una buona medicina per le ferite>

Questa volta i sorrisi non vennero da me, ma da loro, e non furono i soliti, quelli di compassione, furono veri e giurai di poter notare dispiacere in alcune donne che negli anni mi rivolsero commenti maligni o poco garbati.

<Ora si è fatto tardi, domani è un nuovo giorno, ho lasciato una torta
sul tavolo, spero sia di vostro gradimento> mi infilai il cappotto che
avevo precedentemente tolto e tenuto sul braccio destro, coprendomi
per bene dal freddo che mi avrebbe accolta una volta fuori di lì.

<Noi speriamo di ripoterci rincontrare e poterci raccontare degli
aneddoti divertenti questa volta> emisi una risata sommessa e diedi il
mio consenso.

Una volta fuori, mi riappropriai del mio spazio vitale di sempre, ogni
passo che compievo era una lotta con me stessa, da una parte ero molto più leggera, dall’altra ebbi la sensazione di essere quasi in colpa con me stessa, per aver permesso a così tante persone di sapere anche solo una parte dei fatti, che erano anche alcuni dei miei punti deboli.

Mi sarebbe servita come lezione in futuro, anche se dentro di me sapevo che parlarne e agire fosse la miglior cura per affrontare ciò che sentivo.

Ma non ebbi la forza fino ad allora.

Anche se la ebbi solo in minima parte.

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