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Alzai lentamente le palpebre gonfie e pesanti, sentendo la luce fioca filtrare in essi. Mossi il capo, provocando un forte mal di testa, che viaggiava da una tempia all’altra, rendendomi difficile anche focalizzare le immagini che avevo intorno. Portai una mano all’estremità della fronte, sentendo una benda fasciarmi il lato destro della testa, appena sopra l’occhio. Appena chiusi gli occhi, le immagini di ciò che era accaduto qualche ora prima tornarono spedite, provocandomi una offuscamento degli occhi. Mi interruppi appena zia Marilyn varcò la porta in fretta, vedendomi cosciente.

Ero intrappolata in una coperta che copriva la metà del mio corpo, posto nel mio letto.

«Ti sei svegliata.» Mi sorrise, nascondendo il dolore. Ricambiai il sorriso; portava tra le sue mani un piattino contenente due fette di pane leggermente tostate con della marmellata violacea sopra e un bicchiere di succo di arancia.

La colazione che mi piaceva.

«Che ne dici, eh?» Il suo volto compiaciuto indicava il piatto di cibo invogliante. Si sedette accanto a me; io assunsi una postura più eretta, seduta contro la parte in ferro battuto del letto.

«Ehm...delizioso, davvero ma non ho molta fame.»

Le mie parole comportarono un’espressione preoccupata e delusa sul suo viso. Ripose la portata fredda sul ripiano accanto al letto, vicino la lampada. Spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sapendo dove la nostra conversazione stava per finire.

«Samantha, sono giorni che non mangi niente. Né a colazione, né a pranzo, né a cena.»

Abbassai lo sguardo verso le mie mani che giocherellavano con la lana sfilacciata della coperta.

«E’ forse per..» Esitò dal continuare, portandomi con un’aria interrogativa. Quando capii di cosa parlava, incrociai il suo sguardo per rassicurarla.

«Oh, no zia Mary, quello non centra niente.»  Sospirò.

Probabilmente si sentiva in colpa per ciò che era successo, ma io non mi pentii della mia mossa. Quella donna aveva subito fin troppo, non potevo permettere che subisse ancora per colpa mia.

«D’accordo allora.»

Non mi sarei dimenticata mai il suo sguardo arreso in quel momento.

«Senti zia, io prenderò qualcosa da mangiare dal panettiere Jeffrey, mentre vado a scuola. Ma tu devi stare tranquilla, ok?» Spiegai, con un cambio di tono improvviso. Mi alzai dal letto, mugolando inaspettatamente al dolore provocato dal mio fianco.

Mi ero dimenticata della seconda botta ricevuta, decisamente più dolorosa.

«Tutto bene?» Si agitò la donna, affiancandomi e porgendo una sua mano verso di me.

«Si, solo uno stiramento.» Le sorrisi, rubandole un bacio sulla guancia. Afferrai lo zaino accasciato sul pavimento accanto all’armadio e la camicia a quadri rossa e nera appesa sull’appendiabiti e diedi un’ultima occhiata a lei, che mi scrutava in ogni mossa. «Ti voglio bene.» Rivelai, con tono compiaciuto.

Scesi di corsa le scale e sbattei la porta dietro di me, mettendo da parte in un angolino remoto del mio corpo, il dolore, la paura e tutte le emozioni che permettevano ai ricordi di riaffiorare.

La scuola non era lontana, di solito preferivo camminare con delle cuffiette alle orecchie che mi estraniassero dal resto del mondo, ma quella mattina preferii prendere l’autobus. La cinta dei pantaloni premeva contro il fianco ancora dolorante, per quel motivo decisi sedermi ma tenni comunque la musica nei timpani.

Al contrario di come avevo detto a mia zia Marilyn per rassicurarla, non mi sarei fermata per un pezzo di pane. Il mio stomaco era chiuso, come un nodo. Inoltre sapevo benissimo che se avessi mangiato qualcosa, lo avrei di sicuro espulso molto presto.

The monsterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora