Quell'uomo qualche giorno fa è stato arrestato, dissi a mio padre di volerlo vedere prima di privarlo della libertà per un po' di anni per sequestro di persona. Comunque, mi portarono con loro.
Una truppa era con noi, eravamo in auto e l'ansia, il terrore e, forse, un po' di insicurezza mi stavano mangiando l'anima. Come avrebbe reagito? Si sarebbe infuriato? Infondo era quello che voleva, no?
Eravamo diretti al palazzo Nasaka, da lì io, un agente di polizia e mio padre continuammo a piedi, era l'unico modo per sapermi orientare.
Svoltammo l'angolo e riconobbi quella porta, la porta di ferro. Il lucchetto non c'era, quindi stava a significare che lui era all'interno.
«E' questa la casa.» la indicai.
Loro annuirono insieme e mi dissero di allontanarmi dalla porta. Mi poggiai su un muro di fronte all'abitazione, distante circa tre metri, c'erano delle viuzze strette e sporche.
Loro bussarono sulla superficie, causando un grande rumore fastidioso. «Polizia di Seoul, apra immediatamente la porta.» disse mio padre con un tono autoritario.
Non aprì nessuno, quindi l'altro uomo disse: «Kwon Hongki apra questa porta o saremo costretti a tirarla giù.»
Si iniziò a sentire un rumore provenire dall'interno. Il rumore assordante di quella porta non potrei mai dimenticarlo, il più fastidioso che io abbia mai ascoltato. Si aprì mostrando "Quello che non sa fare gli affari". Aveva uno sguardo spento e perso. Alzò gli occhi per osservare mio padre e l'agente, poi posò gli occhi su di me, mi fissò in silenzio ed accennò un sorriso falso.
Si voltò verso mio padre. «Sua figlia è molto carina, agente...» lasciò in sospeso la frase, strizzò gli occhi in direzione della sua uniforme. «Agente Jin» sorrise amaro. Dopo di che si girò verso di me ed io annuii, in segno di gratitudine per non aver parlato del patto.
Non aveva detto nulla, nemmeno io lo feci. Raccontai che riuscii a scappare, non lo avrei mai potuto dire sennò avrebbero privato della libertà anche me.
Mio padre evitò l'affermazione dell'uomo e disse: «Signor Kwon, lei è in arresto per sequestro.» estrasse il distintivo dalla divisa blu scuro, quasi nero.
«Metta le mani dietro la schiena.» aggiunse l'altro agente. Hongki non se lo fece ripetere due volte.
Il tragitto fu molto silenzioso, durò circa venti minuti a causa del traffico.
Appena arrivammo in caserma mia padre compilò un documento sulla denuncia fatta dato che sono minorenne. «L'uomo sconterà quindici anni, non devi più preoccuparti.» mi rassicurò.
Driiin Driiin
La campanella suona, facendomi ritornare alla realtà.
«Allora, andiamo a mensa?» propone Mingi, sorridendo.
Il suo sorriso ormai lo amo. Quando lo fa i suoi occhioni si nascondono, quasi non si vedono; le sue guance diventano paffute. Diventa così adorabile che diventa l'unico ragazzo che voglio in questo mondo, almeno credo.
Mi porge la mano, la afferro e la intreccio alla mia. Gli sorrido guardando verso su, nella sua direzione.
«Cos'hai? Sembri così felice.» mi osserva con una piccola curva divertita sulle sue labbra.
Arrossisco. «Nulla.» scuoto la testa imbarazzata.
Si ferma e mi guarda dritta negli occhi. «So che mi nascondi qualcosa!» dice con un tono accusatorio per poi gonfiare le guance.
Inizio a farfugliare, lui mi guarda con un sopracciglio alzato in attesa di una risposta. Sbuffo imbarazzata. «Posso dirtelo in posto più isolato?»
Lui annuisce.
«Andiamo al terrazzo.» mi informa. «Lì va benissimo.» affermo sul punto di scoppiare.
"Trova una scusa, Sunmi! Trova una scusa, Sunmi! Trova una scusa, Sunmi!" mi torturo.
Cosa gli devo dire? Che mi piace? No, no e no! Non posso farlo, lo perderei. Dannazione! Cosa devo fare?
«Allora,» si guarda intorno, «dimmi.» posa gli occhi su di me.
Sento ancora le mie guance prendere colore. "Forza, Sunmi!".
E' qui, davanti a me. Sta aspettando una risposta in silenzio da troppo tempo. Sospira posando le grandi mani sulle mie braccia. «Qualunque cosa sia, non ti abbandonerò.» mi rassicura sorridendo.
Annuisco più a me stessa che a lui. «Mi piaci, Mingi.» abbasso lo sguardo sulle sue scarpe nere, avvertendo di essere rossa come un pomodoro.
«Tsks...» si china per vedermi in viso, ora lui è quello basso. Le sue mani sono ancora sulle mie braccia. Le sue labbra si piegano leggermente verso su, «Avevi paura di questo, Sunmi?»
Faccio cenno di sì con il capo. Lui sorride. «Non dovevi aver paura.», aggrotto la fronte. «Perc-» la mia richiesta finisce per essere un sussurro, perché improvvisamente mi abbraccia posando il suo capo sul mio. Le sue mani scendono sui miei fianchi e migliaia di brividi percorrono la mia schiena; le mie, di mani, si trovano sul suo petto, a quanto pare, muscoloso. Chiudo gli occhi in quello stretto, e tenero, abbraccio.
Stiamo in silenzio per un paio di minuti, fino a quando lui non prende parola. «Anche tu mi piaci, Sunmi.», spalanco gli occhi immediatamente e mi allontano lentamente da lui, ma restando ugualmente vicino. Lo guardo incredula mentre lui fa "Sì" con il capo e alza di poco le sopracciglia folte, sorridendo.
«Ti prego, iniziamo ad uscire insieme, Sunmi.», le mie corde vocali sono decedute, non riesco a parlare. «Non da amici, ma come coppia.» aggiunge.
I miei occhi si illuminano, un sorriso nasce sulle mie labbra, e anche sulle sue. Ritorno ad abbracciarlo e lo sento darmi un dolce bacio sulla testa, che dà vita a milioni di emozioni. Le mie mani si spostano sulla sua schiena e poso, nuovamente, il capo sul suo petto.
Mingi, mi piaci tanto. Non mi interesserà della reazione di Taehyung, sono passati quattro giorni da quando ha detto che gli interesso, ma non mi ha ugualmente calcolata. Ora ne subirà le conseguenze.
SPAZIO AUTRICE
Allora, ve lo sareste mai aspettato? Sinceramente io no, ma una mia amica mi ha dato un'enorme ispirazione. Comunque ho pianto mentre ho scritto la parte di Sunmi e Mingi, idk mi sono emozionata rip.
Vi auguro una buona lettura <3
Spero che la storia vi stia piacendo. Mi farebbe piacere leggere le vostre opinioni, anche negative, così posso migliorare.
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Why Me? [Kim Taehyung]
Fanfiction«Perché me?» domando con le lacrime agli occhi. Mi guarda con paura, con occhi spalancati pregandomi di perdonarlo.