Capitolo 5.

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«Ho iniziato a comporre questa canzone una notte.» strimpellò due note con la chitarra, tenendosi il plettro tra le labbra. «Avevo passato una delle serate più belle di tutta la mia vita, e mi sentivo in vena di tirar fuori ciò che dentro di me stava esplodendo, un po' come dei fuochi d'artificio. E ha preso forma...questa.» mi sorrise, schiarendosi la voce.

Aveva un accento non del posto, il tono rauco, basso, caldo.
Avrei potuto passare ore ad ascoltare la sua voce.

Iniziò a modulare una melodia angelica, e mi persi in quelle note.

Eravamo seduti sul grande divano beige del suo salotto, e stavamo iniziando a discutere sul brano da presentare al produttore, il genere, lo stile, eccetera.

«Diciamo che ho una melodia in mente, più o meno questa che ti ho fatto ascoltare adesso, ma preferisco che su quella ti concentri tu, o che per lo meno, ci lavoriamo bene insieme. Voglio vedere cosa sei in grado di fare.» si passò lentamente la lingua sul labbro inferiore, e i miei occhi seguirono quel percorso come un assetato nel deserto. «...per ora, ti farò solo leggere il testo, o meglio, una bozza del testo che ho buttato giù, e poi tu mi farai vedere la tua, in modo da farle diventare una cosa sola...» iniziò a parlare dell'arrangiamento, la melodia, fonetica, seconde voci da inserire...

Camden parlava la mia stessa lingua, eppure non ci capivo più niente. Era una situazione così irreale, che la mia mente vagava oltre.

«...dobbiamo davvero darci dentro.» stava dicendo.

«Che?!» saltai in piedi, avvampando.

Ridacchiò, scuotendo la testa. «E poi dicono che siamo noi maschi che...» mi liquidò con una mano, continuando a ridere. «Lasciamo stare, cazzo. Sta diventando davvero imbarazzante.» scosse la testa.

Ci fu un attimo di silenzio.

Poi ci guardammo, e scoppiammo a ridere.

«Fammi leggere il testo, piuttosto.» cambiai discorso. «Ne hai fatta una copia per me?»

Si morse il labbro inferiore, guardando in aria, fischiettando.

«Che buffone.» lo presi in giro.

«Dopo cena lo avrai, giuro.»

Camden aveva insistito perché cenassi con lui, sostenendo di saper cucinare, una dote piuttosto rara da trovare in un ragazzo americano. Ancora di più se californiano.

Non che avessi qualcosa in contrario ai ragazzi che avevano una certa predilezione per la cucina.

Anzi.

Ero una ragazza di buona forchetta, e non potevo non apprezzare la buona cucina. E poi, doveva essere una bella vista vedere Camden cucinare. Lo sarebbe stato ancora meglio senza maglietta, magari a piedi nudi...

Mi passò un foglio di quaderno un po' sgualcito, e con diverse cancellature, risvegliandomi dai pensieri poco casti che mi stavano balenando per la testa.

Osservai il figlio, abbellito con disegni di piume e di fiori ai bordi, e un cuore accanto a quello che aveva messo come titolo: Sai di te.

Sai di alba e di tramonto,

un mistero, ma sto cercando di capire

Perché i miei pensieri, da quando ci sei tu, prendono rotte inaspettate

Mi trasportano nel luogo delle cose mai esistite,

un posto in cui sei quello che sei, senza veli,

fatto di parole sussurrate, di attimi eterni,

e i brividi più forti me le causano le parole che non dici

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