Capitolo 21.

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«...aveva deciso di metterle dietro una quadra di agenti, per precauzione. È nell'ambiente da abbastanza tempo per capire che le fan come la signorina Taylor e le altre che l'avevano già accerchiata precedentemente all'EOS Lounge, non sono le tipiche fan che muoiono per un autografo o che pagherebbero oro solo per un concerto. No. La tipologia di fan di cui fa parte la signorina Taylor è...»

L'agente si gettò in un lungo discorso patetico, noioso, e per nulla pertinente alla situazione.

Eravamo la da quasi due ore, e nessuno era stato in grado di spiegare a me e a mio padre cosa fosse successo, e soprattutto, chi avesse rischiato la vita per me e Alisha.

Una parte di me, la più masochista, non faceva altro che sperare che da un momento all'altro sarebbe spuntato Camden da una delle porte della clinica, e che avrebbe risolto quella situazione il prima possibile.

Era una tortura dover sentire parlare di lui, ancora di lui, incessantemente di lui.

E così, oltre a dovermi subire la sua vita sui giornali, in TV e persino nei cartelloni della città, dovunque andassi, e qualsiasi cosa mi capitasse, lui era sempre lì.

Ed era doloroso.

Tutta quella situazione lo era.

Il solo pensiero di quello che sarebbe potuto accadere a me e ad Alisha mi metteva ancora i brividi. Non lo avrei dimenticato per tutta la vita, e purtroppo, nemmeno lei.

Mio padre parlò sempre al posto mio, e grazie a Ronda, riuscimmo ad ottenere qualche informazione in più riguardo la persona ferita.

Era fuori pericolo, ma ugualmente grave.

L'agente incaricato al caso, dopo quasi un'ora di interrogatorio senza un attimo di pausa, mi lasciò respirare, dicendomi che sarei dovuta andare in commissariato per rilasciare le dichiarazioni e per la denuncia.

Mi sentivo confusa, persa. Non capivo in quale assurdo momento della mia vita avessi iniziato a perdere completamente la rotta.

Odiavo me stessa per quello che mi stavo facendo. Non facevo altro che infliggermi dolore, e farlo anche a chi mi voleva bene. E non credo esista qualcosa di peggiore.

Era un capitolo buio che non finiva più. E per quanto mi sforzassi di andare avanti e passare oltre, sembrava che quello non mi permettesse mai di voltare pagina per passare al capitolo successivo.

E Dio solo sa quanto desiderassi un capitolo nuovo.

O un libro nuovo.

Guardai il viso di mio padre, stanco e provato da tutto quel casino. Non doveva essere piacevole essere chiamati da un agente nel bel mezzo di una riunione per essere informati che le sue due figlie erano state coinvolte in una specie di sparatoria ideata da una fan pazza.

Si era precipitato alla clinica dove ero stata ricoverata la prima volta per il trauma cranico, e non appena aveva visto me e Alisha sedute tutte sole e spaventate in quel grigio corridoio, era scoppiato a piangere, scusandosi con noi per essere stato un pessimo padre che non faceva altro che trascurarci.

Inutile dire che le mie parole di conforto erano state inutili.

Non faceva altro che darsi colpe che non aveva, e chiedere agli agenti che fosse fatta giustizia.

Alisha si era addormentata durante l'interrogatorio improvvisato fattomi dall'agente.

Dopo aver fatto i controlli di routine, l'avevo fatta coricare con la testa fra le mie gambe e si era addormentata in pochi minuti. E a stomaco vuoto.

Per colpa di una stronza malata.

Poco dopo, era arrivata Ronda, che quella sera non era di turno. Si scambiò uno sguardo complice con mio padre, poi prese Alisha e la portò a casa, dandole dei leggeri baci sulla testa.

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