Capitolo 24.

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Una mano sulla mia spalla, ferma, calda e forte, cercava di infondermi una forza che non possedevo.

Non vedevo più il mondo a colori.

Non vedevo più il mare, il tramonto, gli alberi che si stavano spogliando dalle loro foglie.

Non vedevo più niente, se non il tunnel buio. Lungo e interminabile. E lo stavo affrontando a testa bassa, in rispettoso silenzio, mentre tutto intorno a me faceva a pugni per ritornare a galla, per cercare la luce. Ma era ormai impossibile trovarla. Non quando il buio se l'era risucchiata tutta.

«Camden tornerà da noi, te lo prometto. Ne sono certo. Ti prego Bambina, fatti forza. Noi siamo qua, siamo tutti qua. Non ti lasciare andare... lui non vorrebbe vederti così.»

«Ma lui non è qua!» esplosi contro mio padre.

Scacciai la mano di Nora, e Azura, seduta di lato a me, mi guardò con le lacrime agli occhi.

«Papà lui non tornerà! Non tornerà! Non hai sentito cos'ha detto il medico?! Che solo un miracolo può salvarlo! Solo un miracolo!»

Troy venne verso di noi, con la testa bassa e gli occhi più arrossati del solito.

«Troy! Che succede?»

Lui scosse la testa lentamente, e mi sentii cedere.

«Troy! Devi dirmelo! Devi dirmelo!» gridai con tutto il fiato che avevo in gola, iniziando a prendere a pugni il suo petto, fino a quando mio padre mi staccò di forza.

Troy, senza dire una parola, si sedette su una delle sedie vuote, e si prese il viso tra le mani.

«Cosa c'è che non va? Perché Jolanda e tutti gli altri non sono ancora usciti da quella fottuta stanza? Perché?! E smettila di stare in silenzio.»

Troy alzò finalmente la testa, e guardò mio padre.

Come se fosse un messaggio in codice, mio padre mi tenne forte dalle spalle, e mi strinse.

Poi Troy parlò.

«Phoebe, hanno deciso di staccare la spina.»

Li guardai, certa che mi stessero giocando un brutto scherzo, sebbene quella non fosse la situazione più adatta per scherzare.

Ma mi sarei fatta andar bene lo scherzo.

In fondo, ogni tanto un po' di ironia non guastava mai.

Ma guardando i loro volti, capii che non si trattava di uno scherzo.

Senza proferire parola, mi fiondai nella camera dove stava Camden, e aprii la porta senza bussare e senza usare buone maniere.

«Ma si può sapere cosa cazzo avete in mente?!» gridai.

Jeffrey, Jolanda, Amélie e il dottore si voltarono verso di me, stupiti.

Guardai per un momento il corpo di Camden, adagiato in quel letto, quasi privo di vita.

Lotterò io per te, amore mio, te lo prometto.

«Cosa succede, tesoro?» mi chiese Jolanda, con voce tremolante.

Gliel'avrei fatta venire io la voce tremolante! A suon di sberle.

Ma si erano rimbecilliti tutti quanti, lì dentro?

«Cosa succede tesoro?» la imitai. «No, ma dico, ma vi è andato di volta il cervello a tutti?! Cosa cazzo significa che volete staccare la spina? È in coma da meno di una settimana! Dovete lasciargli tempo. Lui ha bisogno di capire! Non potete non dargli una possibilità...»

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