Capitolo 10.

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«Proviamo con il si bemolle

Feci come mi aveva detto, e la melodia di quello che stavamo componendo, mutava e diventava sempre più bella. Sempre più intensa.

Forse, era anche grazie al posto in cui ci trovavamo, che ci stava riuscendo tutto abbastanza bene. Il mare scrosciava lentamente davanti a noi, con il rumore delle onde lieve e dolce, che ci cullava in una melodia creata da lui, naturale e stranamente salda per i nervi.
E poi, l'atmosfera generale ci permetteva di immergerci unicamente in ciò che stavamo facendo. Le grandi rocce intorno al mare creavano come una barriera per quel piccolo paradiso terrestre; gli alberi a pochi metri sopra di noi facevano da contorno a quel paesaggio che non avrei mai dimenticato.

La California nascondeva qualcosa di magico che neppure i suoi abitanti sapevano interpretare. Un clima eternamente estivo, i colori magici dei tramonti e le strade sempre colorate da meravigliosi graffiti. I chioschi e i furgoncini per strada, il calore della gente, le palme imponenti, simbolo colosso della California e poi l'oceano.

I gabbiani che in estate sorvolavano sull'acqua, i clacson che rimbombavano nel traffico e l'odore perenne dello zucchero filato e delle ciambelle che attiravano i numerosi turisti verso i camioncini sulle spiagge.

Di quello, non mi sarei mai stancata. Il dolore non aveva potuto mettere il suo zampino impedendomi di continuare a sorprendimi almeno per le piccole cose.

Trascorremmo in quella spiaggia quasi tutto il giorno continuando a riprovare il pezzo, e a discutere sul contratto che ci aveva proposto Simon.

Ed eravamo arrivati alla conclusione che non avremmo registrato noi quella canzone. Lo avrebbe fatto Camden con un'altra ragazza che avrebbe preso il mio posto. Non posso dire che fosse entusiasta dell'idea, ma dovette farsela andare bene, perché sapeva che ero irremovibile. Aveva imparato a capire e rispettare ciò che desideravo, e nonostante non avesse fatto mistero del fatto che fossi una sciocca a rifiutare una simile opportunità, non insisté.

«Credo che dovremmo lavorare un po' meglio sul testo. A mio parere manca ancora qualcosa. Quel qualcosa che la rende speciale.» rifletté, giocando con la matita che teneva tra le dita.

«Sono d'accordo con te. Ma dovremmo quasi esserci.» concordai.

Iniziò a raccogliere i fogli sparpagliati su un vecchio leggio senza gambe che mi ero portata dietro. «Bene, per oggi direi che abbiamo finito. Ti riporto a casa prima che...»

«Feather! È vero che l'uscita del tuo nuovo disco è stata posticipata?» gridò una voce in lontananza.

Da un cespuglio non molto lontano da lui spuntò quello che doveva essere un paparazzo, mimetizzato con un cappellino, occhiali da sole e con una macchina fotografica al collo.

«È lei la tua ragazza?!!» gridò un'altra voce. Questa era femminile.

Flash.

Mi guardai intorno confusa, senza capire cosa stesse succedendo. Non era la prima volta che sentivo quel nome: Feather. E non era la prima volta che lo sentivo rivolto a lui.

«Cosa ne pensa Dalya di questo rapporto?» domandò il primo paparazzo.

Flash. Microfoni spuntati sotto i nostri nasi. Quel nome, Dalya.

Guardai Camden, capendo. Il suo sguardo non lasciò trasparire nulla, mi afferrò la mano e iniziammo a correre.

E correndo, non riuscii a pensare a niente, se non che c'era qualcosa che non andava.

«Andatevene!» gridò lui, scacciandoli con la mano. «Phoebe, non mi mollare la mano per nessuna cosa al mondo.» sussurrò, coprendomi il volto con un braccio, e facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla.

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