~Capitolo 15

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Dolore. Dolore acuto al braccio.

Brad infilò l'ago leggermente più a fondo nella mia pelle facendomi urlare fortissimo. Mi mise una mano gelida sulla bocca, nonostante ci fosse già la musica a coprire i miei lamenti. Abbassai lo sguardo sul mio braccio: tanti piccoli puntini sanguinanti lo costellavano, e lui, tenendo a mo' di pugnale quella siringa spezzata ne faceva altri, risalendo verso la spalla. La sola vista del liquido rosso che fuoriusciva dalla mia pelle mi fece venire la nausea; presi a singhiozzare sommessamente, tra un gridolino strozzato e l'altro, ma Brad era impassibile. E urlai ancora, questa volta fissandolo negli occhi. Il vuoto che li riempiva mi fece rabbrividire, come le labbra serrate, la durezza dei suoi tratti. Tenni gli occhi fissi nei suoi, anche se mi fu difficile, ma se non l'avessi fatto non so dove sarei ora.

In quei lunghissimi secondi lo vidi trasformarsi davanti a me: gli occhi si sgranarono, fino a diventare enormi, le sopracciglia si alzarono, le labbra screpolate si schiusero e delle leggere rughe si formarono sulla sua fronte. L'ago, sporco del mio sangue, ricadde silenzioso sul pavimento. Brad indietreggiò guardandosi spaventato le mani; poi alzò gli occhi su di me, deglutendo rumorosamente, e vide piccoli rivoli di sangue scorrere sulla mia pelle.

<<Cosa ho fatto?>>, sussurrò andando a sbattere al letto, tra le siringhe e le bustine. Avanzai di qualche passo verso di lui, che sembrava incapace di alzare lo sguardo: dovevo fare qualcosa. Aveva afferrato un'altra siringa nel frattempo, e Dio solo sa cosa avrebbe fatto se lo avessi lasciato solo.

<<Posala, Brad>>, gli ordinai tentando disperatamente di non dare a vedere il mio terrore. Non rispose. Alzò leggermente la mano.

<<Brad..>>, provai a ripetere, ma la voce mi tremava. Rimanemmo occhi negli occhi, mentre lui continuava ad alzare la mano con disarmante lentezza.

<<Posa quella maledetta sirin..>>, ma mi interruppe. Mi interruppe con il lamento strozzato di qualcuno che si è appena piantato un ago nel braccio, di qualcuno che ha giá deciso. Il lamento strozzato di qualcuno che vuole farla finita.

Mi misi una mano sua bocca per non urlare. Il sangue iniziò a sporcargli il braccio malconcio, e nonostante la ferita fosse davvero piccolissima, sapevo che era profonda, e non poco. Lui scoppiò a piangere mentre la musica infuriava. Il basso e la voce del solista si fondevano nel pianto disperato di Brad, e subito dopo nel mio. Le tempie mi pulsavano e il mio cervello continuava a mandarmi ordini, a dirmi di correre a togliergli quella stupida siringa di mano. Ma ero pietrificata, e lui continuava a farsi del male. Tutto dentro di me continuava a urlarmi di muovere le gambe, ogni singolo centimetro del mio corpo. E finalmente ci riuscii. Mi scagliai letteralmente su di lui, buttando via la siringa. Lui si agitò frignando come un bimbo, ma con la luce di uno psicopatico negli occhi: voleva riavere quell'arma che si sarebbe potuta rivelare letale.

Fu solo allora che capii che il mio fratellastro, in piedi davanti a me, aveva piani suicidi, e sarebbe riuscito a metterli in atto in qualsiasi momento.

"Lunatico", avevo sempre pensato.

"Malato", pensai quella notte.

Ero stesa a guardare il cielo. Il sole gettava i suoi primi raggi, proiettando deboli ombre sulla città. L'azzurro del cielo era tinto di rosa in più punti e alcune nuvole dorate si sfilacciavano all'orizzonte, ma se un qualsiasi altro giorno quello spettacolo mi avrebbe trasmesso pace, serenità, ora avrei definito quel cielo di luglio una vecchia coperta stinta. Iniziavo a percepire ogni cosa in maniera diversa, sembrava tutto più triste, più buio. Sentii il suo respiro pesante e regolare fermarsi per un attimo e riprendere in uno sbuffo, così mi voltai: Brad era steso su un fianco adesso, gli occhi ancora chiusi. Avrei giurato che quando dormiva sembrava tutt'altra persona. Le labbra schiuse emettevano lunghi sospiri e il petto si alzava e si abbassava lentamente. Con delicatezza mi avvicinai a lui, carponi, per poi stendermi al suo fianco. Poggiai piano la testa sul suo petto, l'orecchio premuto sulla sua maglietta scura, e presi ad ascoltare il battito regolare del suo cuore, sepolto da qualche parte lì sotto. Tutto ciò mi rassicurava.

Lo sentivo vivo, lo sapevo vivo.

Ero sicura che lui fosse lì, con me, che non sarebbe andato da nessun'altra parte finché eravamo insieme.

Ma quella consapevolezza era destinata a volare via così come era arrivata. Ancora poggiata al suo petto, a guardare quel cielo quasi da film, sentii un rumore che mi distolse dai miei pensieri. Rimasi con le orecchie tese in ascolto, ancora ferma: era un rumore di foglie, di ramoscelli spezzati. Una presenza. Senza accorgermene rimasi col fiato sospeso finché quel rumore lasciò il suo posto a un silenzio ancora più raccapricciante.

<<Brad..>>, sussurrai scuotendolo piano, facendo attenzione a non dare a vedere a chi ci osservava che fossi sveglia. Lui si lamentò nel sonno, così insistetti sempre più spaventata.

<<Ti prego, svegliati>>, piagnucolai silenziosa. Finalmente lui aprì gli occhi con immensa lentezza e sbattè le palpebre più volte per mettere a fuoco la mia figura così vicina a lui. Poi si guardò piano intorno.

<<Dove cazzo siamo?>>, chiese palesemente fuori luogo.

<<C'è qualcuno>>, ansimai in preda al terrore. Il rumore di prima aveva ripreso a ronzarmi nelle orecchie.

<<È proprio dietro di noi, Brad..>>, continuai senza il coraggio di voltarmi. Lui continuava a cercare di capire dove fossimo, di cosa stessi parlando e del perché fossi così spaventata, ma in fondo non potevo aspettarmi che, appena sveglio, con un braccio letteralmente mutilato e una stanchezza così grande addosso, avrebbe potuto salvarmi. E infatti, avevo ragione.

Ehiii, sono tornata! Commentate e fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo.. a prestoo (spero!)

Baci♥

-Alo

DANGEROUS ||Bradley Will Simpson||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora