▶Chapter 3

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Avevo appena lasciato dietro alle mie spalle quella camera da notte, o forse, meglio definirla come la stanza rossa... no, forse meglio ancora, la stanza rossa di Harry! Insomma, avevo abbandonato quel locale notturno e alquanto perverso avvicinandomi così al titolare del night club per poterlo pagare.

<< Intende pagare la stanza numero 4?>> mi domandava.

<< Sì, ieri sera ne ho usufruito.>> farfugliavo a testa bassa sentendomi sul viso il rosso dell'imbarazzo divampare come fosse un incendio boschivo.

<< Tranquilla signorina, un certo Styles ha già provveduto al pagamento. Il ragazzo aveva un'aria soddisfatta!>> recitava lui con un sorrisetto compiaciuto.

Sgranai gli occhi dall'incredulità delle sue parole e dalla sua eccessiva confidenza, presi con rabbia i miei soldi dal bancone per poi scomparire da lì.

In quell'istante, mentre continuavo a lamentarmi dell'accaduto con me stessa e aborrivo il genere maschile classificandolo come "ripudiante", realizzai il fatto che stavo camminando per le vie più "in" e conosciute di Philly, per la precisione South Street. Ed in parte mi sentivo anch'io così in quel momento. Ammiravo con grande stupore quanto larghe fossero le strade, forse il doppio di quelle italiane e con più di ben sole due corsie. Mi piaceva far navigare la mia prorompente fantasia, ancora fatta di sogni, idoli, possibilità ... insomma, un mondo fiabesco. Mi piaceva poter credere che le auto più costose al mondo come Porsche o Lamborghini gareggiassero tra loro in uno scontro leggendario come la nota saga di "Fast and Furious". Mi piaceva poter credere che i semafori fossero delle luci abbaglianti pronte a distrarre o a confondere il guidatore, ed i palazzi, alti almeno una decina di piani dai balconi e dalle finestre alquanto fastosi, fossero i trofei dell'imbattibile vincitore.

Mi piaceva credere, nonostante i miei ben 24 anni, di poter ancora far risvegliare quella bambina che c'era in me, ma che non si nascondeva!

Mi soffermai ad ammirare un palazzo in mattonelle dal color panna che si sfumavano nelle angolature quasi in un color cioccolato. I lampioni in ferro battuto e con l'armatura modellata quasi si trattasse di un mandala, rendeva l'idea da chi, quella residenza, potesse essere abitata. Notai accanto al citofono rigorosamente placcato in oro, una targa in pietra con su inciso, a carattere gotico, il nome di uno degli oncologi più conosciuti degli Stati Uniti, il dottor Baumann.

E più notavo i visi della gente uscire da quel portone, più capivo quanto ognuno di noi, nonostante le varie lamentele, amasse la propria vita, che si trattasse di una vita di merda o di una vita dignitosa.

Continuai a percorrere il viale sperando che un taxi potesse passare di lì in modo che mi avrebbe condotta all'aeroporto, ma più continuavo a girare la mia testa ora a destra ed ora a sinistra, più miei occhi, involontariamente, si scontrarono con la figura di un ragazzo.

E quel ragazzo era Louis.

Louis? Ma che ci faceva in quella zona e in quel portone con il viso completamente a pezzi?! Camminava con le mani nelle tasche dei suoi jeans,e con la sua solita maglietta bianca a maniche rosse della "Vans".

Si stava dirigendo verso la Metro, così lo chiamai.

<< Louis, ma che ...>> urlai.

E lui alzò la testa da terra, si girò verso di me guardandomi con stupore ed un lieve timore, per poi alzare il passo e dirigersi verso la metro senza nemmeno accennarmi un minimo di accorgimento.

Mi affrettavo anch'io a raggiungerlo, ma sembrava che tutti i miei tentativi fossero vani.

Girò l'angolo e sparì.

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