4- Il suono del dolore

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Le manette fredde e strette circondavano i miei polsi, attaccate con una catena spessa al muro. Non riuscivo a muovermi, e anche se ci provavo restavo comunque vicina a quella parete. Un grande boato proveniva da una stanza vicina e il suono di alcuni passi tuonavano in tutto l'edificio facendomi sobbalzare prima, poi tremare. Tre uomini. Tre uomini mascherati si avvicinavano a me con fare minaccioso, uno di loro portava un sacco sulle spalle, sembrava pesante. Giunti davanti a me, mentre i due laterali mi fissavano, l'uomo centrale cercava di prendere degli oggetti da quel sacco, da cui uscì prima un frusta, poi una catena di ferro, degli accendini e infine trovò quello che cercava: dei panni bagnati. Dei panni bagnati, perché così non lasciano il segno... in quel momento provai paura e angoscia come mai mi era capitato.
Con uno sguardo malizioso l'uomo alla mia sinistra posò una mano sul mio viso, mi accarezzò la guancia dolcemente, poi uno schiaffo mi colpì in pieno, bruciava sia la pelle, sia l'anima. Cosa vorranno mai questi, forse mai lo saprò.
Io incredula e quasi delusa da me stessa, per non poter far nulla, per non aver reagito, caddi per terra inginocchiandomi mentre mi colpivano anche gli altri due uomini, dandomi prima degli schiaffi e poi passando ai pugni.
Mi sanguinavano le labbra quando uno di loro prese la frusta e iniziò a picchiare la mia schiena e le mie gambe.
Urlavo e urlavo nella speranza che qualcuno potesse sentirmi, urlavo dal dolore e imprecavo sottovoce ad ogni colpo, forse per attutire un po' il dolore che mi provocavano. Presero tutti qualcosa: chi un panno, chi la frusta, chi la catena. Per un attimo si fermarono e credevo avessero smesso, invece l'uomo a destra si avvicinò a me, senza dire nulla prese la mia maglietta e la strappò togliendomela.
Non ho fatto in tempo a riprendermi dal bosco che sono svenuta e ho battuto la testa, ora mi rapiscono, mi picchiano, mi spogliano e mi colpiscono ancora. La frusta toccava la mia schiena lacerando la mia pelle, a volte aprendola e squarciandola; il panno bagnato si avvolgeva al mio corpo non appena si adagiava con violenza ad esso; la catena provocava lividi nel momento stesso in cui entrava a contatto con la mia totalità: ad ogni colpo che mi fu inflitto un sussurro, un urlo dovuto dalla sofferenza fu cacciato dalla mie corde vocali finché non trovai il coraggio e gridando chiesi: "Chi siete voi, luridi! Cosa volete da me! Cosa vi ho fatto!"
Nessuna risposta.
Tra le lacrime e il sangue fui lasciata lì, inerme di fronte a ciò che era appena successo.
Nonostante ciò che facevo per sopravvivere non avevo mai ucciso nessuno, e questo mi faceva pensare che il grande boss avesse scoperto la gran presa in giro che avevamo allestito un po' tutti.
Ma quegli uomini non erano stati mandati dal capo, quegli uomini cercavano solamente me.
Sfinita mi accovacciai, per quanto fosse possibile, vicino alla parete, cercando di non infierire ulteriormente nelle ferite. Probabilmente mi addormentai ma quando mi risvegliai nuovi tonfi provenivano dalla stanza vicina, accompagnati a delle urla.
«Asteria! Asteria ci sei?»
"Asteria!"
Aiden e Bryant erano riusciti a trovarmi.
Aprirono quello che sembrava un portone e corsero per tutto lo stabile finché non vidi Den venirmi in contro. Alla vista di me così ferita, con così poche energie e gli occhi gonfi, la pelle sgualcita non esitò a chiamare Bryant; avevano un aspetto così preoccupato...
Cercarono di liberarmi da quelle manette orrende che mi incatenavano, e con l'aiuto di un piccolo ferro arrugginito riuscirono a liberarmi; caddi per terra distesa così Aiden si affrettò a sollevarmi e dirigersi verso il furgoncino con il quale erano arrivati, Bryant ci seguiva con le chiavi già in mano, pronto per mettere in moto. Mi posò delicatamente sul retro del mezzo e si sedette vicino a me tenendomi la mano; Bryant accese il motore e corse il più veloce che poteva verso un ospedale.
Aiden mi stava vicino il più possibile e si assicurava che non stessi ulteriormente male, o mi succedesse qualcosa di peggiore dato che ero sfinita e perdevo sangue ovunque.
Appena arrivati al pronto soccorso arrivarono di corsa dei medici che capirono la situazione e affrettandosi presero una barella e mi ci caricarono sopra; correvano tutti assieme alla mia barella portandomi in qualche stanza di qualche reparto mentre tenevo gli occhi socchiusi a causa delle luci che vedevo scorrere come stelle che cadono impazientemente dal cielo.
Vedevo flebilmente gli occhi inquieti di tutti; mi portarono in una stanzetta poco ampia dove iniziarono a curare immediatamente tutte le mie ferite, dopo avermi dato un po' di anestesia, disinfettandole, ricucendole, mettendo garze.
Mi addormentai poi e mi risvegliai il giorno dopo su un lettino così debole da far fatica a respirare, ogni angolo del mio corpo era lancinante. In silenzio mi misi ad osservare il battito del mio cuore che alzava e abbassava il mio torso di scatto, così pensai inevitabilmente a quanto ero fortunata ad essere ancora viva dato che avrei potuto lasciarci la pelle; mi venne in mente mio fratello come di consuetudine, lui che mi aveva sempre protetta ora non poteva essere qui poiché non sapeva neppure del mio ricovero qui o di dove fossi.
Mentre pensavo a questo la porta verdognola venne aperta lentamente e un ragazzo dai capelli rossi, con delle spalle molto larghe e un fisico abbastanza asciutto, con delle sopracciglia poco folte ma ben curate e due occhi verdi e grandi si fece spazio: mio fratello.
Mi squadrò da capo a piedi e anche se sorrideva notavo nei suoi occhi una luce spenta, delusa, preoccupata; ero felicissima di vederlo ma non riuscivo a muovermi, gli feci cenno di sedersi accanto a me e mi disse: "Temevo di non ritrovarti più, credevo ti fosse successo qualcosa di brutto, pensavo di averti persa per sempre, e ora che sei qui sdraiata su un lettino mi rendo conto che ci è mancato poco, ma alla fine sono riuscito a ritrovarti. Non devi scusarti per nulla, tu non hai mai avuto colpe, mi dispiace se quella volta, due anni fa, abbiamo litigato così pesantemente ma non avrei mai immaginato che sparissi dalla mia vita. Ti prometto con tutto il cuore che d'ora in poi mi prenderò cura di te ancora di più piccola principessa mia".
A quelle parole mi commossi, ma non solo perché risultavano confortanti, bensì anche per aver ritrovato l'unica persona che mi fosse stata accanto sin dalla mia nascita.
"Joshua, scusami, se sono scappata quel giorno... neppure io avrei mai immaginato tutto quello che mi è successo"
"Dimmi, dimmi Asteria, te ne prego, cos'hai combinato, cos'hai fatto per essere ridotta in questo modo, e chi sono quei due ragazzi qui fuori dalla porta"
"Beh, non mi vedi? Non noti per caso come sono ridotta?"
"Dimmi solamente che non sono stati quei due ragazzi o riduco loro in pezzettini così piccoli che li scambierebbero per sabbia"
"No Jo non sono stati loro, mi hanno salvata e mi hanno portata qui, non devi preoccuparti, sono miei amici"
"E allora chi sono!"
"Sono Aiden e Bryant, sono miei amici, loro mi hanno trovata sia ieri che quando abbiamo litigato noi due"
"Non dirmi che ti hanno tenuta nascosta e lontana da me per tutto questo tempo"
"No, non l'hanno fatto, ero io a non voler tornare... puoi chiamarli?" mentii, la verità è che non potevo affatto tornare, ma la colpa non era di certo da attribuire a chi mi ha salvata.
"Certo, tutto per te principessa"
Si allontanò per un secondo e rientrò con i due.
«Ateria, come ti senti? Non sforzarti troppo, sei ancora debole» disse Aiden appena mi raggiunse, venendomi incontro quasi correndo; a quella scena Joshua gli lanciò un'occhiataccia delle sue, così fulminante che mi sentii in colpa pure io.
Den mi prese la mano e me la strinse forte, come se non avesse avuto paura di perdermi.
"Fa male ovunque" uscì dalle mie labbra.
Avevo quasi perso la voce urlando.
"I medici hanno detto che alcune ferite sono davvero gravi, dovrai stare qui per un bel po' di tempo" mi disse Bryant.
"Scusate se mi intrometto, ma mi avete chiamato voi e io non vi conosco, si può sapere chi diavolo siete?" mio fratello intervenì.
«Io sono Aiden, lui è Bryant; conosciamo Asteria da due anni ormai, e devo dire che le abbiamo salvato il culo un paio di volte in questi giorni».
Grazie Den, sempre gentile tu.
"Come sarebbe a dire un paio di volte? Che cazzo è successo in tutto questo tempo!?" l'unica cosa che usciva dalle labbra di mio fratello erano parole di stupore.
"Così tante cose, che neanche si possono immaginare" rispose Bryant.
"Ti spiegherò, a tempo debito Jo" cercai di rassicurarlo a modo mio.
"No no, non avete capito, io voglio sapere tutto ora. Non vedo mia sorella da due anni a causa mia ho il diritto di sapere che cazzo le è successo!". Capisco che Joshua stesse perdendo le staffe, d'altronde veniva a sapere solo ora di me, e per lo più che ero in ospedale.
"No Jo, non ora, né domani."
"E quanto ancora devo stare senza saper nulla! Mi vuoi dire almeno questo? Dato che qui sono escluso da tutto!"
Un'infermiera che passava di lì sentì le urla di mio fratello, così entrò e gli intimò di abbassare la voce date le mie condizioni, poi se ne andò.
"Jo, ascoltami, torna domani, o dopo domani, o quando vuoi, ma torna e io ti spiegherò"

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