Sette

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Non c'era, in casa, più un lume che ardesse. Vi era solo un silenzio che stordiva, il silenzio irreale delle notti d'inverno. Il Cecco s'era deciso ad attendere che fosse quasi l'alba, quando le donne iniziavano a levarsi per prepararsi ai lavori di casa. E se n'era rimasto per tutta la notte in cucina, con il capo appoggiato sulle mani, senza riuscire a prendere sonno e bruciando fin troppa legna nella stufa, ché aveva freddo, e tanto.

S'erano poi ritrovati dinnanzi alla porta, il Cecco e il Bettino, a un muto appuntamento, i visi scavati e le mani gelate.

«Babbo». aveva detto il Bettino.

Il Cecco gli aveva fatto cenno di tacere, ché quello proprio non era il luogo dove parlare. Aveva aperto senza far voce la porta, erano usciti fuori, al gelo, s'erano allontanati giù per l'aia.

«Che si fa, babbo?»

«C'ho pensato su. Mi pare che non sia cosa di pigliare il carretto e andar su pei boschi, col buio e col rischio che qualcuno ci veda».

Il Bettino aveva dato un mezzo sospiro che, alla luce del lume, s'era condensato in una nebbia bianca. «E il fiume, babbo?»

Il Cecco aveva alzato una mano e scosso il capo. «Non è da pensare», aveva detto brusco, ché quell'idea nemmeno la voleva più sentire.

«E allora?»

«Allora si va a pigliare la carriola, quella delle bestie, si pigliano», e qui gli era mancata la parola, al Cecco, «si pigliano l'Agnese e il Martino e si portano alla rimessa».

«La rimessa dietro la stalla?»

Il Cecco s'era dovuto far forza per rispondere ancora, tanto gli era penoso quel discorso. «Fuoco», aveva detto, sperando di dir tutto senza troppe parole.

Al Bettino non era venuto di che ribattere. S'era incassato nelle spalle, la testa bassa. «Ho inteso», aveva mormorato, basso basso, e nel suo sguardo fisso sulla terra gelida v'era più di quanto non paresse.

Gli era parso tutto più semplice, al Cecco, quando l'aveva pensato. Era facile davvero, senza il cuore che saltava in gola alla sola idea di aprire la porta del magazzino, senza le mani che tremavano cercando di raddrizzare la chiave, tanto gli era difficile trovare la serratura. Ma quando aveva sentito il cigolio familiare dell'uscio del magazzino e s'era ritrovato dinnanzi i due corpi rigidi, gli occhi erano tornati a bruciargli, e s'era concesso qualche lacrima perché era scuro.

Gelidi, erano, e ancora duri come pietre. Trattenendo d'istinto il respiro, il Cecco non aveva avuto il coraggio di fissare lo sguardo su ciò che restava di sua nuora e suo nipote. Era così ingiusto, così terribilmente ingiusto. Non era certamente la prima volta che si seppelliva un bambino, ma mai era accaduto che non fosse per uno di quei malanni senza rimedio, che prendevano e portavano via chiunque toccassero, vecchio o infante.

Aveva sollevato di terra il corpicino del Martino, pesante e immobile come una bambola di sassi, e non era riuscito a non tenerselo un istante contro il petto, come a dargli un ultimo abbraccio. Bello, era stato, come tutti i bambini; gote piene e sorridenti, voce acuta, gambe tonde ancora avvolte per metà nelle fasce.

«Maledetto», aveva bisbigliato il Cecco, «maledetto».

Aveva udito lo scricchiolio della carriola su per il cortile, accompagnato dai passi pesanti del Bettino. Aveva atteso che il figlio s'affacciasse dalla porta, e solo allora aveva appoggiato il corpo del bambino nel cassone polveroso, con cura, come se lo adagiasse nella culla. Il Bettino aveva visto, ma non aveva osato dir nulla; s'era accostato al corpo della cognata.

Pesante, era, come un enorme sacco. L'avevano dovuta tirare su in due - ed era stato uno sforzo immenso per il Cecco -, l'avevano spostata a fatica fino alla carriola. Era stato impossibile sistemarla nel cassone, rigida com'era; s'erano dovuti accontentare d'appoggiarvela alla meglio. E al Cecco era spettato l'ingrato compito di tenerla fissa con una mano, mentre il Bettino spingeva quel carico terribile fino alla rimessa.

Avevano disposto i due cadaveri su una delle grosse balle di paglia ancora intatte. Il Bettino s'era allontanato indietro d'un passo, aveva guardato la scena.

«No, babbo, non ha senso».

«Che intendi?»

Ma parole non ne aveva, il Bettino. Aveva tirato a sé l'Agnese, l'aveva sospinta contro l'ingresso, le aveva deposto sul petto il bambino.

Vicino alla porta, come se avesse tentato di uscire per scappare alle fiamme, certo. Ma davvero qualcuno avrebbe indagato? Davvero avrebbero chiesto? Il Cecco s'era sentito svuotare, mentre guardava il figlio saggiare la porta della rimessa per capire in che modo bloccarla, così che paresse che i due sventurati non erano riusciti a fuggire dal fuoco. E il resto gli era parso un sogno, distante dalla sua percezione, come avvolto nell'acqua. La paglia era stata sparsa perché ardesse più in fretta. Il lume era stato rovesciato, l'olio aveva inzuppato gli abiti dell'Agnese. E le fiamme avevano iniziato a divorare tutto con una velocità inaudita.

Erano rientrati lesti in casa, il Cecco e il Bettino, il cuore in gola e le mani sporche. S'erano messi a fissare dalla finestra della cucina quella parte dell'aia che andava dal magazzino alla rimessa, che adesso brillava, tra le fessure del legno, e qualche bagliore illuminava sprazzi di fumo scuro.

«Quanto aspettiamo, babbo?»

«Finché il fuoco non si vede bene», aveva risposto il Cecco, la voce roca.

Ed era successo in fretta, sul legno verniciato e la paglia asciugata dal sole dell'estate precedente. Era bastato qualche minuto appena, perché la rimessa iniziasse ad ardere intera, dalle assi più in basso a quelle incrociate che facevano il tetto.

«Vai adesso», aveva detto il Cecco, e sarebbe voluto andare lui, ma non ne aveva la forza. Perfino parlare era stato uno sforzo eccessivo, vuoto com'era, provato dalla giornata piena di dolore e priva di riposo.

Il Bettino era saltato su, come se si fosse preparato cosa fare già da tempo. Era uscito fuori nell'aia, aveva iniziato a chiamare a gran voce.

«Fuoco!», gridava. «Fuoco!»

Era stato come se qualcosa avesse reso l'anima alla notte. Immediatamente la casa s'era riempita di rumori, cigolii e porte e piedi che camminavano, che correvano. Erano bastati pochi istanti perché i figli raggiungessero il Cecco, pallidi e istupiditi dal sonno, per capire cosa stesse accadendo.

«Anche quella! Anche la rimessa!» s'era dato a gridare il Bruno, i calzoni infilati alla meglio. Ma era bastato uno sguardo al padre per comprendere cosa fosse accaduto, e soltanto allora la voce s'era abbassata, come a non voler mancare di rispetto. «Che dobbiamo fare, babbo?»

Il Cecco aveva fatto il gesto di allontanarli con la mano; che andassero loro, che pensassero loro a cosa fare. Lui non aveva più la forza di ragionare, di agire, di riflettere. Le mani gli tremavano convulsamente, il cuore continuava a rimbalzargli nel petto. Come se improvvisamente avesse perso l'udito, percepiva le donne muoversi dietro di lui, gli uomini affannarsi fuori, ma non sentiva nulla, non riusciva a far forma a nulla.

Era rimasto immobile dietro la finestra, anche quando gli uomini dei poderi vicini erano arrivati di corsa, portando secchi e grossi catini. Era stato difficile aver ragione del fuoco, che s'era allungato fino a lambire la stalla, costringendo il Bruno a portar fuori in tutta fretta le bestie, già mezze impazzite dalla paura. E il puzzo del fumo, quel puzzo acre che bruciava la bocca e gli occhi, s'era infilato in casa dalle fessure.

Ma non v'era altri che lui, dentro. Tutti gli altri, donne, uomini e bambini, tutti erano impegnati a portare acqua, a tirar via gli animali. Persino il Mino era fuori, la faccia sconvolta.

Al Cecco era parso d'aver bisogno di un bicchiere d'acqua, e di sedersi. S'era scostato dai vetri, il volto bagnato, e a fatica aveva trascinato le gambe fino al grosso paiolo di rame dove serbavano l'acqua da bere.

In piedi dinnanzi alla porta, ferma e pallida, c'era la Lina. Pareva una visione funesta, una visione di morte, e il Cecco ne aveva persino avuto timore. S'era fermato, senza il coraggio di fare altro, ed era rimasto immobile a guardarla.

«Cosa avete fatto, babbo», aveva detto, non chiesto, come se la sua fosse stata un'affermazione e non una domanda.

Non c'era risposta da dare, il Cecco lo sapeva bene. Ma solo in quell'istante s'era reso conto che la Lina aveva lo sguardo fisso in avanti, in un punto oltre la finestra.

S'era voltato per capire cosa guardasse l'altra, e aveva impiegato un istante a mettere a fuoco i pensieri.

Proprio dinnanzi a loro, si apriva la porta del magazzino, rimasta spalancata.

L'Uomo Di PagliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora