Quattro

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«Promette bene, l'annata, nevvero?»

Il Menego, un sorriso sornione, continuava a gettare lo sguardo sulle terre del podere. Tra i campi ancora coperti di brina e lasciati a maggese per la stagione invernale, risaltava il verde scuro degli appezzamenti di cavoli dicembrini, rigogliosi grazie al freddo intenso.

«Si spera» aveva tagliato secco il Cecco.

«Non si raccoglie, oggi?»

Il Cecco aveva lanciato un'occhiata ai campi. I figli, le nuore, i bambini; erano tutti in casa, nessuno si affaccendava in cucina o a cogliere le verze. «Sono passati il Bettino e il Tonio, prima, a tirar su le rape.»

«Le rape, ah. Bene, bene», aveva detto il Menego.

Il Cecco gli aveva fissato per un attimo le mani. Non si era mai fidato delle parole, lui; i discorsi forbiti erano roba da preti, o da imbonitori, o da ministri, o da gente con la lingua agile. Le mani, invece, non sapevano mentire: parlavano di una vita di lavoro, di fatica, o di una vita comoda, o disonesta. E le mani del Menego erano così simili alle sue, ruvide e sciupate dal freddo e dal legno grezzo degli arnesi, così distanti, in quel momento, dal tono arido e studiato con il quale cercava di trarre il suo profitto dalle trattative.

Si sentiva stanco, il Cecco; stanco di dover stare lì a pensare alle bestie e ai soldi per prenderle, che comunque si sarebbero tirati fuori a fatica, e rinunciando a tanto altro, proprio mentre nel magazzino il corpo dell'Agnese ormai era diventato freddo, e pareva che non interessasse a nessuno. E gli era venuto disgusto, del Bettino, del Menego, delle bestie e del piancito zuppo di sangue dove c'era il becchime delle galline. E delle domande del Menego, che parevano intendere altro.

«Si ha poco da discorrere, noialtri», aveva tagliato corto. «Fammi un prezzo onesto e troverò il modo di pagartelo.»

***

Era rientrato a casa quando il campanile aveva battuto i dodici tocchi.

«Dove siete stato, babbo?» lo aveva accolto il Bettino. E lo aveva chiesto con un tono vago.

«Dove vuoi che fossi? Ero nelle stalle a rigovernar le bestie, e ho trattato col Menego.»

Il Bettino lo aveva guardato con aria sollevata. «Avete comprato?»

«Comprato, non comprato, ti pare questo il momento?» aveva sbottato il Cecco.

Nella cucina c'era un gran silenzio. C'era la Cecilia, la massaia, che rimestava nel calderone la minestra di patate; attorno al tavolo, il Tonio e il Bruno. Il Bettino si era seduto a sua volta, il Cecco si era appoggiato accanto al camino acceso.

«Che si fa, babbo?» aveva chiesto il Bruno.

Il Bettino aveva fatto un cenno, perché non si parlasse davanti alla moglie. La Cecilia, pallida come un cencio, si era pulita le mani sul grembiule. «La levo dal fuoco, questa, Bettino. Quando voialtri avrete finito di parlare, allora si mangia, anche se è freddo.»

Il Cecco aveva proteso le mani verso il fuoco, ne aveva sentito il calore diffondersi, come lente onde, dalle dita fino alla testa. Gli sembrava tutto già meno funesto, meno disgustoso di come gli era parso mentre parlava con il Menego; il fuoco e il buon profumo del cibo facevano il loro effetto.

«Se proprio non si può andare a parlare col conte, pensavo di andar dal vescovo», aveva detto. «Non v'è altro modo di venir fuori da questa faccenda.»

«Babbo, se mi permettete, non è il caso». Il Tonio scuoteva la testa con forza, una mano a carezzarsi il mento ispido. «Il conte o il vescovo, non fa differenza.»

L'Uomo Di PagliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora