Il Mino non piangeva più.
Chino sul tavolo, il volto tra le mani, pareva invecchiato tutto insieme.
Il Cecco aveva esitato, prima di sedergli accanto; aveva spostato la sedia in modo brusco, per fare rumore.
«Fatti coraggio», gli aveva detto, a voce bassa.
«Coraggio», aveva risposto il figlio, la voce rauca che sembrava raspare le labbra.
«Noi uomini, Mino...». Il Cecco aveva faticato non poco per trarre fuori le parole. Aveva tirato su col naso, si era passato la manica del camiciotto sul viso. Erano cose da donne, quelle: la Carola avrebbe saputo che fare, lei sì. «Devi esser forte, Mino, pei figlioli in primo luogo».
Il Mino aveva alzato gli occhi e l'aveva guardato. Aveva annuito, lentamente, senza convinzione.
E sì, aveva il viso più vecchio; al tempo stesso, però, il Cecco aveva visto nel figlio qualcosa che somigliava a un bambino, un bimbo spaventato, smarrito. Con una rudezza malcelata, con appena un po' troppa forza rispetto a quella che l'atto avrebbe richiesto, aveva alzato un braccio e l'aveva passato intorno alle spalle del Mino. E il figlio, a quel contatto così strano e così prezioso, gli si era stretto contro, aveva ripreso a singhiozzare.
«Babbo».
Il Bettino era entrato in cucina, il viso arrossato dall'aver camminato a lungo al freddo, e aveva rivolto un cenno al padre, per chiamarlo nel cortile.
Il Cecco si era scrollato il Mino di dosso, in modo forse troppo brusco, e aveva seguito l'altro senza una parola. Fuori, nell'aia, il sole tenue era già alto.
«Non c'è nessuno, babbo», aveva borbottato il Tonio, nervoso. «S'è guardato bene ovunque, nella paglia delle bestie, nella stalla, tra i campi. Non s'è visto nessuno, e neppur qualche segno che sia passato qualcuno.»
Di lontano, il campanile di Padernone aveva iniziato a battere i suoi rintocchi. Il Cecco, una insopportabile sensazione di calore sul viso e sulle mani, li aveva contati, in modo meccanico, per non pensare, per non dover rispondere. Uno, due, tre, otto, nove, dieci. Erano già le dieci, e il Menego sarebbe venuto a parlargli delle bestie di lì a poco, e nel podere non c'era nessuno che minacciasse i suoi, e quasi pareva che non vi fosse mai stato. I risvolti impliciti gli sfuggivano, senza che riuscisse a trattenerli.
«S'ha da chiamare il conte», aveva concluso il Cecco. «Che venga lui, a tirar fuori quel ch'è successo.»
Il silenzio, di nuovo.
«Dite che è il caso, babbo?» aveva mormorato il Bettino, dopo un tempo che era parso a tutti intollerabilmente lungo.
«Che pensi di fare, Bettino? Che l'Agnese l'abbiano ammazzata, siam tutti sicuri. Noi s'ha tutti la coscienza netta, abbiamo Iddio a testimone, e il conte farà cercare quella bestia ovunque si sia nascosta.»
Il Bettino si era innervosito. «Aspettate, babbo.»
E l'aveva tirato da presso, con una spinta che sembrava quasi violenta. Lo guardava con le pupille dilatate, gli occhi spiritati; per un istante gli aveva perfino fatto paura.
«Cos'hai?»
«Babbo, io l'ho visto...». Il Bettino aveva ridotto la voce a meno di un sussurro. Aveva le labbra bianche, tremanti.
«L'hai visto? Di che parli?»
«L'ho visto, stamane, prima che voi vi destaste. Il Mino, babbo. L'ho visto uscir in cortile quand'era ancora buio.»
Le parole del Bettino erano divenute, nelle orecchie del Cecco, un fischio intollerabile. Il Cecco aveva fatto un balzo indietro, aveva reagito con un'alzata di spalle e un'energica scossa del capo.

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L'Uomo Di Paglia
Mistério / SuspenseQualcuno ha ucciso Agnese e il suo bambino. E si è portato via molto più di queste due vite. Un thriller psicologico, ambientato in una realtà italiana, in una apparentemente quieta campagna d'inizio Novecento.