10. (BOZZA)

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L'aeroporto militare di Firsa era il più grande del sistema: esteso quanto una città, ospitava in ogni momento almeno duecento navi, compresi vascelli da guerra, caccia e incrociatori di varie dimensioni.

Viste dall'alto, le piste di atterraggio per le navi più piccole si allungavano come dita sottili da un grosso palmo centrale, attraverso il quale transitavano i mezzi ruotati intenti a spostare truppe, personale e merci. Gebrel vide che stavano puntando una zona di atterraggio molto vicina al raccordo delle piste, e si rallegrò perché non avrebbe dovuto attendere molto prima di scendere a terra.

Era a bordo di una navetta N13 di ultima generazione, dotata di propulsori di manovra di altissimo livello, scafo con tre strati di rinforzo, cannoni difensivi con angolo di rotazione superiore a centottanta gradi e lanciamissili. Era inoltre in grado di resistere per qualche minuto nel confronto con piccole navi da battaglia. Per la Marina di Firsa, Gebrel non avrebbe potuto chiedere di meglio.

In realtà, non aveva mai potuto sperimentare la capacità di affrontare un vascello delle dimensioni di un incrociatore, e non se ne lamentava di certo. Non gli sarebbe dispiaciuto, però, testare i limiti di quel gioiello di nave.

«Trenta secondi all'atterraggio» comunicò il copilota pigiando dei tasti.

Gebrel, che era seduto alle sue spalle, su un sedile rialzato di mezzo metro, continuava a guardare il suolo che si avvicinava rapidamente. Ormai le piste più lontane scomparivano sommerse dalla luce obliqua dell'alba, mentre quella su cui sarebbero atterrati mostrava nitidamente il suo manto liscio e privo di imperfezioni.

La navetta rallentò gradualmente, passando da una traiettoria obliqua rispetto al suolo a una praticamente perpendicolare. Quando fu proprio sopra il punto designato, il veicolo si abbassò di quasi dieci metri, arrivando a sfiorare la pista. I pattini di atterraggio erano già stati estratti da sotto la scafo, così la navetta atterrò dolcemente, senza che i passeggeri potessero percepire l'impatto col suolo.

I due piloti spensero tutta la strumentazione mentre Gebrel si alzava in piedi e scendeva nel vano passeggeri. Da Toova aveva portato con sé solo sei uomini che sarebbero comunque dovuti tornare a casa: non erano infatti venuti su Firsa per accompagnarlo, ma per guarire e per riposarsi.

«I vostri trasporti arriveranno qui a breve» li informò andando a prendere il proprio bagaglio, composto unicamente da due zaini. «È stato un piacere servire con voi, uomini!»

«Piacere nostro, signore!» risposero in coro, come durante una parata.

Gebrel diede una pacca amichevole a uno dei soldati, che conosceva piuttosto bene e che aveva ricevuto un proiettile nella gamba sinistra, quindi percorse il vano fino in fondo. Premette un pulsante sulla parete, e il portellone di uscita si abbassò fino a toccar terra, aprendo, di fatto, l'accesso alla nave.

Il Generale si issò uno zaino in spalla e continuò a portare l'altro, più leggero, con una mano. Un'auto della sicurezza portuale si stava già avvicinando a gran velocità; quando giunse davanti a Gebrel, rallentò repentinamente e si fermò, lasciando subito scendere due agenti.

«Signor Generale!» esclamarono scattando sull'attenti.

Gebrel li salutò come da regolamento e, senza parlare, si andò a sedere nel retro dell'auto. Si voltò verso la navetta e vide i piloti, scesi anche loro a terra, che chiacchieravano placidamente. Il mezzo partì, e i due lo degnarono appena di un'occhiata, intenti com'erano a parlare.

«Signore,» lo chiamò l'agente che si era seduto ai posti di dietro insieme a lui, «fino a dove possiamo accompagnarla?»

«All'ufficio del Generale Superiore».

Uomini e Dei - La luna di nessunoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora