18. (BOZZA)

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Nella sala riunioni erano presenti tutti quanti; Liena era poggiata al muro accanto a Yukkal, il quale lanciava delle occhiate piene di apprensione a Spiolit. Quest'ultimo era arrivato tra gli ultimi, e si trovava, infatti, vicino all'entrata, lontano dai suoi amici.

La voce che il turno fosse il suo, e che quindi anche la colpa della fuga fosse da attribuire a lui, era circolata rapidamente, e adesso quasi tutti lo indicavano e sparlavano di lui.

Liena cercava di mostrarsi semplicemente preoccupata, ma dentro di lei c'era un ribollire di emozioni e istinti contrastanti. Da una parte voleva gridare a tutti di lasciar stare Spiolit e di prendersela con lei, unica vera responsabile; dall'altra voleva rimanere al suo posto, cercando di non dare nell'occhio, e aspettare la fine di tutto per scoppiare a piangere e sfogarsi. In ogni caso, una cosa era certa: si era pentita enormemente di ciò che aveva fatto, e adesso i sensi di colpa la stavano logorando.

Spiolit cercava il suo sguardo, cercava qualcosa a cui aggrapparsi per uscire fuori da quello che di lì a poco, per lui, sarebbe diventato un inferno. Liena lo ignorava, spostava gli occhi altrove, aspettando che tutto finisse, ma tutto doveva ancora avere inizio.

Munnel entrò nella sala camminando lentamente e guardando a terra. I brusii e i bisbigli scomparirono all'istante, lasciando il posto a un silenzio inquietante.

«Se qualcuno ancora non lo sapesse, sono scappati i prigionieri» esordì. Chiunque, però, era al corrente dell'accaduto.

«Non abbiamo trovato segni di scasso, esplosioni o qualunque cosa indicasse una via di fuga ricavata con la forza. I prigionieri sono tranquillamente usciti dalla porta, che era, a quanto pare, incustodita».

Liena lanciò soltanto un'occhiata a Spiolit e vide che non riusciva a tenere un piede fermo, in preda al nervosismo. "Sa che Munnel sta parlando di lui".

Era come se sapesse già di essere condannato: non si aspettava clemenza o che venisse incolpato qualcun altro. Aspettava semplicemente di sentire il proprio nome.

«Non girerò attorno a questo fatto: la responsabilità è di Spiolit. Nel suo turno di guardia, infatti, è avvenuta la fuga, e quindi era lui che doveva sorvegliare la porta della cella».

Un mormorio crescente si levò dai presenti, e improvvisamente Liena si sentì gelare il sangue nelle vene: e se Spiolit avesse fatto il suo nome? Se avesse menzionato la sua presenza? Sarebbe a quel punto apparso evidente che lei era stata testimone dell'avvenimento, se non colpevole. Non poteva assolutamente accadere, altrimenti tutti i suoi sforzi, le sue azioni e i suoi tormenti per la banda e per il popolo di Skara sarebbero stati inutili.

Era possibile che Spiolit non parlasse di lei: se, infatti, lui provava davvero interesse, cosa ormai più che certa, magari avrebbe deciso di salvarla, non sospettando una sua implicazione nella fuga.

Avrebbe dovuto approfittare di nuovo di lui.

Lo cercò con lo sguardo, e mentre Munnel gli si avvicinava e le voci si faceva i più pressanti, i loro occhi si incontrarono. Liena si impose di essere più triste e dispiaciuta possibile: non le risultò molto difficile, grazie alla sua propensione a mentire. Spiolit sollevò le sopracciglia rassegnato, come ad ammettere la propria colpa, senza rabbia o rancore.

«Spiolit» continuò il boss, «la tua negligenza è stata per noi estremamente dannosa: abbiamo perso una grande risorsa, che ci avrebbe permesso di trattare con le altre bande e, addirittura, col CSI».

L'accusato annuiva senza replicare. «Nonostante ciò, non dobbiamo essere ottusi: Spiolit non era a sorvegliare la porta, ma questa, in qualche modo, è stata aperta. È possibile che non sia stata chiusa correttamente l'ultima volta, oppure, ed è questa la mia paura più grande, che qualcuno l'abbia aperta di proposito».

Uomini e Dei - La luna di nessunoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora