17. Non è giusto

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Suonai al citofono della casa dell'avvocato Finnston, ancora scossa per la terribile discussione avvenuta con Dylan, e quella ancora prima con Lucy.

Le loro parole continuavano a sovrapporsi fra loro nella mia mente, procurandomi un mal di testa non indifferente.

La mia mente continuava a ripetermi che non avrei dovuto credere a nessuno dei due, né a nessun altro. Ero stata fregata così tante volte da essere ormai diffidente nei confronti di chiunque, oltre che poco disposta a concedere seconde possibilità a chi mi aveva dimostrato di infischiarsene di me.

«Ciao. Prego, entra.»

Sollevai lo sguardo e notai che l'avvocato Finnston mi aveva aperto la porta, accogliendomi, come di consueto, con un caloroso sorriso. Con me era sempre così gentile e premuroso. Chissà come si comportava all'interno di un'aula di tribunale. Lo avrei scoperto entro tre giorni.

Solo tre giorni. Quella consapevolezza mi terrorizzava a dir poco.

Mi sforzai di ricambiare il sorriso ed entrai in casa sua, che ormai vedevo tanto frequentemente quanto la mia.

Fin da subito mi accorsi del silenzio e della quiete che c'era in casa dell'avvocato. David non c'era. Anche l'ultima volta, del resto, era arrivato dopo, quando io e l'avvocato Finnston eravamo già nel suo ufficio. Quindi magari, dopo la sua uscita con Olivia, ci avrebbe raggiunti.

Ancora non potevo crederci. Fra le tante cose che mi avevano lasciata senza parole in quella giornata, vederlo insieme a lei si posizionava sicuramente fra le più sorprendenti. Insomma, non riusciva a trovarsene della sua età? Ero sicura che al college ci fossero tantissime ragazze stupende, con le quali avrebbe potuto provarci.

A maggior ragione perché secondo le leggi della Louisiana, solo a partire dai diciassette anni una persona veniva considerata consenziente ad avere rapporti con una persona di qualsiasi età, mentre lei ne aveva sedici. Non che necessariamente si sarebbero dovuti spingere fino a quel punto, ma... Oddio. A fare quei pensieri, non potei fare che sentirmi veramente ridicola, tanto che cancellai la cronologia del browser non appena lessi quelle informazioni.

Magari avevo soltanto frainteso tutto. Forse erano parenti, o magari amici da tanti anni. Il fratello di Olivia doveva avere all'incirca l'età di David, magari erano stati compagni di superiori e per questo si conoscevano. Le alternative erano molteplici, eppure nella mia mente continuava ad avere la meglio la prima ipotesi.

Mi chiesi se il signor Finnston ne fosse a conoscenza. O almeno se sapesse dove si trovasse il figlio in quel momento. Cercai di impegnarmi per trovare un modo sottile di chiederglielo, facendo sì che passasse come una domanda completamente disinteressata e che non fosse fuori luogo in quel momento.

«David non c'è?»

Be', non provo quello che intendevo.

Non solo gli avevo fatto una domanda che non c'entrava niente in quel momento, ma non ero nemmeno riuscita a usare un tono indifferente. Ero sicura che l'avvocato si fosse accorto della mia apprensione, totalmente immotivata, tuttavia rispose alla mia domanda senza darci troppo peso: «No, è all'università».

Sì, certo.

Annuii, fingendo di essere soddisfatta dalla risposta, e lasciai che cominciasse con la mia preparazione all'udienza.

•••

Una volta rientrata a casa, ero completamente sfinita. Eppure, pian piano, stavo iniziando ad avere più fiducia. Essere l'imputata, per quanto assurdo sembrasse dirlo, aveva anche i suoi vantaggi. Potevo inventare la storia che volevo. Potevo decidere se rispondere con sincerità o meno alle domande che mi venivano poste. Certo, dovevo riflettere attentamente e dare risposte che potessero risultare il più possibile credibili, ma almeno non ero vincolata a nessun giuramento, a differenza dei testimoni. Il fatto di poter avere anche solo un minimo di controllo della situazione, mi faceva sentire più sicura.

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