10. È una città piccola

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Quando mi svegliai venerdì mattina, mi chiesi com'era possibile che fosse già passata una settimana da quella dannata festa. Era già passata una settimana da quando Emily era morta. Era già passata una settimana da quando la mia vita era cambiata per sempre.
E forse anch'io stavo cambiando. Il mio timore più grande era proprio quello di non riuscire più a tornare la Megan di un tempo. Forse sarei riuscita a superare il trauma e a riavere indietro la mia vita, ma ciò non stava a significare che avrei riavuto anche quella parte di me che era stata danneggiata. Forse mi sarei portata quella voragine dentro di me per sempre, non si sarebbe mai rimarginata del tutto.

Feci quelle riflessioni mentre fissavo il mio corpo nudo stando in piedi davanti allo specchio della mia camera. Ero pressoché la stessa, all'esterno. Ma dentro di me, sentivo che era in atto una trasformazione. Sperai soltanto che sarei stata una persona migliore di quella che ero stata fino a quel momento (bugiarda, ricattatrice, assassina).

Dopo essermi vestita e preparata per un'altra sicuramente burrascosa giornata di scuola, presi in mano il cellulare.

"Ti prego, non dire a nessuno di ieri."

Scrissi il messaggio e poi, al momento di inviarlo, titubai per qualche secondo. Poi feci un respiro profondo e lo spedii, prima di prendere lo zaino di scuola dalla sedia e uscire di casa.

Sebbene una parte di me fosse ansiosa di ricevere una risposta e avesse l'istinto di controllare il cellulare ogni dieci secondi, alla fine ebbe la meglio la parte di me più razionale, e difatti lo ripresi in mano solo una volta dopo essere arrivata a scuola.

L'arrivo dell'autunno si stava facendo sentire: c'era molto vento, le prime foglie stavano iniziando a cadere dagli alberi e il cielo appariva grigio e uggioso, quasi a riflettere il mio stato d'animo. Sperai solo che non si mettesse a piovere. Detestavo la pioggia. Non ci trovavo nulla di bello né romantico, era solo incredibilmente fastidiosa. Inoltre, considerando che indossavo solo un maglione e non avevo con me nessun ombrello, non sarei riuscita a ripararmi e avrei finito con l'ammalarmi.
E, sebbene mi avrebbe fatto piacere starmene a casa per un po', in quei giorni avevo già fatto troppe assenze, e non avrei voluto continuare in quel modo per il resto dell'anno scolastico.

Una volta arrivata al mio armadietto, tirai fuori il cellulare per leggere la risposta. Aveva inviato due messaggi.

"Starò zitto."

"Ma solo se tu ti farai aiutare da qualcuno."

Alzai gli occhi al cielo. Eppure, aveva ragione, e io lo sapevo.

Non avevo mai considerato il suicidio. Anzi, ero sempre stata dell'idea che chi compiesse un gesto del genere, fosse solo un vigliacco, che non aveva né la voglia né la forza per affrontare i propri problemi. E poi anch'io ero diventata come coloro che tanto criticavo.

Come avevo potuto essere tanto stupida? Tanto superficiale? Se solo David non fosse stato lì... sarei morta per davvero. (Magari. Sarebbe finito tutto).

"Lo farò."

Poi sentii qualcuno appoggiare le mani sul mio ventre e il mento sulla mia spalla. Mi girai leggermente a sinistra e subito incontrai gli occhi di Dylan. Appoggiai le mani sopra le sue, facendo sì che mi stringesse più forte.

«Ti ho chiamata ieri. Almeno cinque volte» disse, lasciandomi un piccolo bacio sul collo.

«Avevo il telefono spento, scusa» risposi solamente.

«Mi dispiace per ieri. Quello che ti ha detto sua madre è stato orribile, scorretto e inappropriato. Dopo averti vista andare via, avrei voluto seguirti e non partecipare al funerale. Sono rimasto solo per... be', per Emily. Era giusto dirle addio.»

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