16. Io ti ho difesa

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Mi svegliai di colpo, spaventata e sudata. Era la terza volta, in quelle settimane, che sognavo di essere inseguita da uno sciame di api, pronto a pungermi. Secondo quanto letto su Internet, un sogno del genere poteva significare che mi sentivo in pericolo, minacciata da qualcosa, o qualcuno.

Insomma, i miei sogni riflettevano alla perfezione la realtà. Peccato che mi impedissero di passare delle nottate tranquille. Per fortuna, l'indomani la dottoressa Blackburn mi avrebbe procurato i farmaci per la cura dell'insonnia. Così forse uno dei miei tanti, troppi problemi sarebbe scomparso.

Rimaneva ancora il più importante di tutti: l'udienza preliminare, fra esattamente tre giorni. Fino ad allora, sarei dovuta andare a casa dell'avvocato Finnston ogni pomeriggio per prepararmi al meglio.
Ora che sapevo che non avrei dovuto dire a tutti i costi la verità essendo l'imputata, ero certamente più tranquilla, ma ciò non significava che mi avrebbero creduto. E poi non sapevo quali prove avevano a mio carico, quali domande mi avrebbero fatto, quali testimoni avrebbero chiamato a deporre e cosa gli avrebbero chiesto.

L'avvocato Finnston non faceva che rassicurarmi, dirmi che sarebbe andato tutto bene, che la mia situazione non era così grave, ma io non riuscivo a fidarmi ciecamente delle sue parole. Tentare di alleggerire i miei problemi faceva parte del suo lavoro, ma comunque non significava che ci sarebbe riuscito. Dovevo solo aspettare per scoprirlo.

•••

Una volta giunta a scuola, mi resi conto di non avere idea di come avrei affrontato Dylan. Il giorno precedente avevo ignorato tutti i suoi messaggi e le sue chiamate, ma a scuola era chiaro che non avrei potuto evitarlo.

Infatti, non appena misi piede dentro scuola, lo vidi appoggiato al mio armadietto. Mi stava aspettando.

Sospirai, stanca. Non avevo neanche più le forze per sostenere l'ennesima discussione. Ma dovevo. Era ciò che avrebbe fatto una persona adulta, matura. Non sarei mai più scappata davanti ai problemi.

E comunque morivo dalla voglia di sapere. Così, mi feci coraggio e, una volta preso un respiro abbastanza profondo da infondermi la forza necessaria, mi avvicinai a lui.

«Meg, mi spieghi che ti è preso ieri? Non mi hai risposto per tutto il giorno e mi sono preoccupato, pensavo che... cos'è quella?».

Lanciò un'occhiata confusa alla chiavetta USB che tenevo in mano. La sua. Il giorno prima avevo chiesto a Herm di lasciarmela, così da poterla usare per ottenere delle risposte.

Eppure... la sua espressione era confusa. Solo confusa. Non intimorita. Né tantomeno agitata. Doveva saper fingere veramente bene, se l'aveva fatto per tutto quel tempo.

«Come, non la riconosci?» chiesi.

«Sembrerebbe la mia chiavetta, ma...»

«No, non sembra, lo è» lo interruppi. «E sai che cosa ci ho trovato dentro?» domandai e lui scosse la testa. Quell'espressione apparentemente ignara di tutto mi mandò fuori di me e, il mio piano di mantenere la calma, di fare la persona matura, razionale, andò completamente in fumo. «Ti diverti così tanto a prendermi per il culo? Da quanto va avanti questa storia? Eh, da quanto?»

«Meg, mi spieghi cosa...»

«Non chiamarmi così!» lo interruppi. «Devi esserti divertito davvero tanto a vedermi piangere e stare male per giorni, sapendo di essere tu il responsabile del mio malessere! Per tutto questo tempo ho sempre sospettato di Olivia, ma avrei dovuto sapere che la strada più facile non è mai quella giusta, e che sono le persone di cui non dubiteresti mai a tradirti. Perché l'hai fatto?»

Lo vidi allargare le narici e stringere i pugni. Ce ne voleva di coraggio da parte sua ad arrabbiarsi, dopo quello che mi aveva fatto. Dopo ciò che avevo passato a causa sua. «Vuoi dirmi quale cazzo è il problema, Megan? Parla chiaro.»

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