13. Non sei stata tu

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La situazione a scuola sembrava essersi tranquillizzata. Non del tutto, ovvio. Ma le persone, esattamente come accade ai bambini dopo pochi giorni dall'aver ricevuto il giocattolo nuovo, sembravano essersi già stufate. Erano stufe di parlare di me, di Emily, volevano soltanto andare avanti.

Persino Olivia sembrava aver mollato la presa, ma forse era solo perché la convocazione nell'ufficio della preside Fitzpatrick l'aveva spaventata al punto di cessare la guerra e smetterla di diffondere quei volantini, i quali erano spariti dalla circolazione. Tutti tranne uno, che avevo conservato e consegnato all'avvocato Finnston, il quale non aveva fatto altro che ripetermi, fin dall'inizio, che avrei dovuto informarlo di qualsiasi cosa e che anche un'apparente banalità avrebbe potuto essermi utile all'udienza preliminare, quindi l'avevo avvisato di quegli episodi successi a scuola e gli avevo fornito la prova di quanto dicevo.

Feci quelle riflessioni mentre ero intenta ad aprire il mio armadietto, che proprio quella mattina aveva deciso di non collaborare ed essere più difettoso del solito. «Ti prego, almeno tu vedi di funzionare!» lo implorai, cosa che, purtroppo, servì a poco.

«Perché stai cercando di scassinare l'armadietto di un altro studente?»

Non riconobbi subito la voce di chi mi rivolse la parola, così come non compresi subito il senso di ciò che mi disse. Pertanto decisi di rinunciare alla mia impresa, almeno per il momento, e di voltarmi nella direzione di chi aveva parlato. Scorsi Lucy, la quale mi rivolse un piccolo sorriso: «Quello è il mio. Il tuo è questo qui» disse, indicando un armadietto posto proprio di fianco a quello che mi stavo affaccendando ad aprire già da un quarto d'ora.

Mi passai una mano sulla fronte e scossi la testa: «Scusa, non ci avevo proprio fatto caso». Poi mi spostai verso il mio armadietto e in quattro e quattr'otto riuscii ad aprirlo.

«Tranquilla, non c'è problema. Comunque alla fine ho parlato con Tracey e mi ha detto che per lei va bene, e anche la preside Fitzpatrick ci ha dato il via libera.»

Annuii, prima di rendermi conto che non avevo idea di a che cosa si riferisse. «Aspetta, il via libera per cosa?»

«Per la commemorazione di Emily, questo venerdì alla partita» rispose, e la mia espressione sembrò suggerirle che ne avevo piene le scatole di quella faccenda, perché aggiunse: «So che forse vorresti non sentir più parlare di questa storia, ma in fondo penso che anche la scuola debba poter avere la sua occasione di dirle addio. Ti sembrerà strano, penserai che a nessuno importasse di lei prima che succedesse tutto e che quindi non abbia alcun senso organizzare una cosa del genere, ma in fondo un senso ce l'ha: era una ragazza che veniva nella nostra scuola, della nostra età, con cui forse in molti non hanno mai parlato, compresa me, ma la vedevamo comunque ogni giorno... e ora non c'è più. Paragonato a quello che starai provando tu non sarà niente, ma ti assicuro che sono rimasta davvero molto scossa, e come me molti altri.»

Mi irrigidii, sentendo la voragine farsi più ampia e il respiro cominciare a mancarmi. Poi, non so come, riuscii ad assumere il controllo delle mie emozioni e a impedire che prendessero il sopravvento. Ed ecco che la voce dentro la mia testa, la stessa che mi incolpava di tutto, la stessa che mi aveva suggerito di farla finita il giorno del funerale di Emily, la stessa che mi teneva sveglia la notte, la stessa che mi aveva resa un'altra persona, mi disse: "Mantieni la calma. Respira. Puoi farcela. Tu sei Megan Sinclair".

E funzionò: ripresi la calma, evitando l'ennesimo attacco d'ansia.

«È davvero così?» chiesi a quel punto a Lucy, la quale attendeva una mia risposta.

«Certo, ha lasciato tutti sconvolti e sono stati in molti ad aver ritenuto giusto fare un ultimo piccolo gesto in suo onore.»

«Non è un piccolo gesto: è molto bello quello che volete fare, Lucy. Se Emily fosse... sì, insomma, lo apprezzerebbe» dissi.

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