14. Vulnerabile

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Dopo le parole di David, scattai subito in piedi e uscii dalla stanza, interrompendo il processo simulato.

Pochi attimi dopo, l'aspirante avvocato giunse alle mie spalle: «Che cosa credi di fare?» domandò.

Mi voltai e lo guardai con gli occhi ridotti a due fessure. «Io? Cosa credi di fare tu? Tu... hai infranto il segreto professionale!» esclamai e lo vidi emettere uno dei soliti fastidiosissimi ghigni di scherno: «Non sono il tuo avvocato, Megan, non c'è nessun segreto professionale fra di noi. E poi davvero credevi che mi sarei tenuto per me quelle confessioni e che non le avrei raccontate a mio padre?».

Sbuffai. «Comunque potevi avvisarmi che mi avresti fatto certe domande, sei stato un vero...»

Mi interruppe prima che potessi aggiungere altro: «Credi che il procuratore ti darà un foglio con tutte le domande che ti porrà e sulle quali potrai prepararti come per un'interrogazione? Ci sono andato anche abbastanza leggero, comunque. Ma volevo farti capire che non è solo la condanna per omicidio quella che devi temere, ma anche altri reati relativamente meno gravi come l'inquinamento delle prove e l'omissione di soccorso».

«Ok, e quindi come posso fare a superare l'udienza se qualsiasi cosa mi chiederanno sarà un'ulteriore conferma della mia colpevolezza?» chiesi.

Rimase un attimo in silenzio e sollevò le sopracciglia, come se si aspettasse che ci arrivassi da sola. Ma come avrei potuto capirlo? Non sapevo niente di giurisprudenza, se non quelle poche cose basilari su cui avevo fatto delle ricerche la settimana scorsa. Corrucciai la fronte alla ricerca di una risposta dentro la mia mente, e poi finalmente capii. «Mi hai mentito!» esclamai. «Mi hai fatto credere che avrei dovuto dirti ogni cosa che era successa perché non avrei potuto dichiarare il falso in aula, ma il giuramento dev'essere fatto solo dai testimoni, mentre io sono l'imputato, ciò significa che posso dare la versione dei fatti che voglio.»

Sorrise compiaciuto: «Ah, allora finalmente l'hai capito».

«Sei un bugiardo, calcolatore e anche subdolo!»

Per non dire stronzo.

«Ti ringrazio. E comunque l'ho fatto solo perché tu non volevi deciderti a raccontarmi tutta la verità. Ho dovuto farlo.» Lo disse quasi come se non avesse avuto altra scelta, come se la manipolazione non fosse il mezzo cui amava ricorrere più spesso. Eppure sapevo benissimo che non era così e che i raggiri facevano parte del suo modo di fare.

«Allora, che è successo?» sentii la voce dell'avvocato Finnston e lo individuai appoggiato alla porta del suo studio. Questa volta il suo tono non era calmo come di consueto.

Nessuno fra me e David seppe cosa rispondere, così l'avvocato si avvicinò a noi e si rivolse a me con tono più tranquillo e comprensivo: «È stato troppo pesante?».

Annuii e il signor Finnston mi diede un leggero colpo sulla spalla. «D'accordo, per oggi basta così. La prossima volta, se non riesci a sostenerlo, avvertimi e farò fermare tutto, d'accordo?»

Ci sarebbero stati altri pomeriggi infernali come quello?

Sembrò leggermi nel pensiero perché poi aggiunse: «È importante fare delle prove per cercare di essere il più preparati possibili a ciò che ci troveremo davanti fra una settimana. Oggi è andata così perché era la prima volta, vedrai che dalla prossima volta ti sentirai già più sicura».

Il suo tentativo di rassicurarmi andò in porto non tanto per le parole che mi disse, nelle quali credevo poco, quanto per il tono affabile con cui si rivolse a me. Poi si voltò verso il figlio: «Riaccompagnala a casa. E poi torna a New Orleans».

Stavo per obiettare, dicendo che avrei potuto andare tranquillamente a piedi, ma David non me ne diede nemmeno il tempo poiché tirò fuori le chiavi della macchina e si diresse verso la porta. «Quindi?» mi incalzò, come se i miei dieci secondi di titubanza a lui fossero parsi come dieci ore di attesa. Allora augurai una buona giornata all'avvocato Finnston, prima di seguire il figlio fuori dalla porta.

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