21. Un fallimento

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Andammo a pranzare in un ristorante lì vicino, così da poter fare in fretta. Io e David ci sedemmo uno di fronte all'altra. Anche se forse non mi riguardava, non riuscii a fare a meno di chiedergli perché se ne fosse andato improvvisamente.

«Che fine avevi fatto? Rob aveva una vittima da sacrificare?» chiesi.

Sogghignò. «Mi hai scoperto.»

Non aggiunse nient'altro, così capii che avrei anche potuto mettermi l'anima in pace ed evitare di insistere.

Lo detestavo quando faceva così. Ossia circa il novanta per cento del tempo.

Così, una volta dopo aver rinunciato, mi concentrai sul mio piatto. Dopo i primi bocconi, ecco che mia madre, seduta al mio fianco, tirò fuori la dietologa che era convinta di essere, sebbene in realtà facesse l'architetto.

«Megan, sei sicura di volerla finire tutta? È una porzione molto grande.»

Ci risiamo, mi dissi.

Alzai gli occhi al cielo. «Sì, mamma, la mangio tutta» risposi, tentando di mantenere la calma.

«D'accordo, ma forse...»

«Non ho fatto colazione stamattina, ricordi?» la interruppi.

Era incredibile che facesse quelle scenate anche davanti ad altre persone.

«Fa bene, gli adolescenti devono mangiare tanto» si intromise l'avvocato Finnston.

Ovviamente, per non fare brutta figura davanti ad altri, mia madre gli diede ragione, il che mi portò ad alzare nuovamente gli occhi al cielo.

Incredibile.

•••

Una volta usciti dal ristorante, cominciammo ad avviarci a piedi verso il parcheggio, che purtroppo avevamo trovato piuttosto lontano.

Mentre camminavamo, mia madre mi si affiancò e mi prese sottobraccio. «A proposito, quand'è che inviterai Dylan a cena da noi?» chiese.

Istintivamente, mi voltai verso David, quasi come sperassi che fosse lui a trovare una soluzione che mi permettesse di sfuggire a quella situazione. Tuttavia, si strinse semplicemente nelle spalle. Del resto non lo riguardava.

«Non c'è fretta, mamma» risposi soltanto.

«Ma come no? Scommetto che lui te li ha già fatti conoscere i suoi. Chissà cosa pensano di noi, che siamo una famiglia di cafoni a non esserci ancora fatti vivi!» esclamò, portandosi una mano alla fronte.

«Veramente sua madre lavora a Chicago e torna solo nei fine settimana, mentre suo padre è quasi sempre in ufficio.»

«Lo credo bene! È un socio di maggioranza, sai quanto lavoro e responsabilità ha sulle spalle... comunque perché non li inviti sabato prossimo?»

«Ok, poi glielo chiederò» dissi, solo per liquidarla.

In tutto ciò, mio padre se n'era stato al telefono per tre quarti del pranzo, per poi uscire frettolosamente dal ristorante e dirigersi a passo spedito verso il parcheggio, insieme all'avvocato Finnston.

Mi liberai dalla presa di mia madre e mi avvicinai a David, il quale emise uno dei suoi soliti ghigni. «Simpatica tua madre» commentò, ma più che sarcastico sembrava addirittura serio.

«È insopportabile» sbottai, sottovoce.

«Dai, mi sembra una a posto. Forse un po' troppo legata alle apparenze, ma non la biasimo. In una città come questa, non c'è niente di peggio che avere una brutta reputazione.»

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