20. Ti farà bene

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Il palazzo di giustizia di St. Mary era un edificio piuttosto anonimo. Visto da fuori, le mura di un banalissimo bianco e con una grande quantità di finestre, non sembrava altro che un insieme di uffici, non rispecchiava di certo l'idea che mi ero fatta. Anche perché nei miei incubi notturni lo vedevo come un luogo tetro, al pari della casa di Hill House.

Eppure molto spesso erano le cose apparentemente normali, quelle a inquietare davvero. Infatti, non appena scesi dall'auto di mio padre, venni assalita dal terrore. Non appena presi a tremare, più dalla paura che dal freddo, mi strinsi nel bomber nero che indossavo.

"Andrà tutto bene. Mantieni la calma."

Presi mia madre a braccetto e, insieme a mio padre, entrammo tutti e tre dentro l'edificio.

Era contrassegnato da ampi corridoi e numerosissime stanze, da cui continuavano a entrare e uscire persone che sembravano molto indaffarate. In fondo, poi, riuscii a scorgere l'aula di tribunale in cui si sarebbe svolta l'udienza preliminare. Mentre attendevo, mi tenni il più possibile lontano da quella porta.

Andai a sedermi su una delle sedie che erano poste lungo il corridoio. Avevo così tanti pensieri in testa che mi era difficile decidere su quale concentrarmi. Tentai di allontanare quelli che mi causavano angustia, ossia circa l'ottanta per cento. Così, escludendo la mia udienza, Dylan che non faceva che chiamarmi ininterrottamente dal giorno prima, Lucy che mi faceva pressioni affinché la aiutassi a scoprire chi era stato a incastrarla, Tracey che si era accorta che la stavo evitando e insisteva nel volerne sapere il motivo, il tutto unito al giornaliero cordoglio per la morte della mia migliore amica, al senso di colpa legato al fatto che continuavo a essere convinta di averla causata io stessa, mi rimaneva solo un pensiero che, in confronto agli altri, era di certo meno angosciante: David.

«A domani.» Così mi aveva detto.

Ciò significava che ci sarebbe stato? Se sì, perché non era già lì? Era l'unico con il quale avrei voluto parlare, dal momento che praticamente mia madre mi fissava come se il giudice avesse già emanato la mia sentenza di condanna, mentre mio padre fingeva di essere interessato a me chiedendomi ogni cinque minuti come stessi, per poi attaccarsi subito al cellulare a parlare con i colleghi che erano in ufficio e che chiedevano il suo aiuto per svolgere dei lavori.

Ero quasi tentata di prendere il cellulare e scrivergli e, anzi, forse l'avrei persino fatto, se non avessi volutamente deciso di lasciarlo a casa per evitare le persone sopracitate.

Mi alzai immediatamente dalla sedia non appena vidi l'avvocato Finnston entrare dentro l'edificio e dirigersi verso i miei genitori. Sorrisi, nel vedere David apparire dietro di lui. Sia lui che il padre indossavano uno smoking nero e avevano i capelli tirati all'indietro con il gel. Dio, che spettacolo.

Mia madre mi fece cenno di venire a salutare, e non me lo feci ripetere due volte.

«Buongiorno, signor Finnston» dissi, rivolta al mio avvocato. Poi mi voltai verso David per salutare anche lui, ma ecco che mi precedette: «Quale dei due? Siamo entrambi il signor Finnston, o sbaglio?».

Mia madre rise sommessamente, così come mio padre, mentre io, al contrario, gli lanciai un'occhiataccia.

Poi i miei genitori si allontanarono con suo padre, lasciandoci soli. Vidi in lui una sorta di espressione d'attesa, così decisi di accontentarlo: «Buongiorno, signor Finnston».

«Buongiorno, signorina Sinclair» rispose con un piccolo ghigno. «La vedo bene, rilassata.»

«Merito dei fiori di Bach, a dire il vero» precisai. Mia madre aveva preferito darmi qualche goccia per aiutarmi a rilassarmi. Anche se, in realtà, stavano funzionando solo in parte.

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