9. Il male dentro

243 25 18
                                    

«Tu! Come hai osato venire qui? Non te lo meriti, come non meritavi di avere un'amica come Emily. Non l'hai mai meritata, e io l'ho sempre saputo. Non sei come vuoi farci credere, e so che hai fatto del male alla mia piccola Emily! Lei era il mio angelo, mentre tu sei marcia dentro. C'è del male dentro di te. Avresti dovuto essere tu al suo posto... Sì, dovresti essere tu ad essere rinchiusa in una bara in questo momento. Saresti dovuta morire tu!»

Ero in preda ad un sovraccarico di emozioni. Mi sentivo ferita, umiliata, triste e anche un po' arrabbiata. Come aveva potuto dirmi quelle cose orribili? Capivo il suo dolore, aveva perso la sua unica figlia, ma questo non le dava il diritto di attaccarmi in quel modo. Specialmente perché prima che morisse ero sempre stata una delle persone con cui Emily aveva un maggior rapporto. Eravamo come sorelle.
Come poteva credere che avrei potuto farle del male?
(Magari perché era vero).
Come poteva augurare la morte a un'altra persona, proprio in un momento in cui lei stessa, per prima, stava sperimentando quanto cordoglio e agonia portasse la perdita di una persona cara?
(Forse era ciò che meritavo davvero).
Come poteva pensare di me che fossi un essere maligno?
(A pensarci, non ero neanche così pura come tutti credevano).

Nel sentire le sue urla, in men che non si dica una grande folla si radunò attorno a noi. In prima fila, chiaramente, c'erano quei ficcanaso dei giornalisti, carichi ed eccitati per il prossimo scoop che avrebbero pubblicato.

«Vattene da qui. Non voglio e non permetterò che tu assista al funerale di mia figlia. Sparisci dalla mia vista immediatamente!» esclamò.

Le sue parole mi colpirono così tanto che vacillai, perdendo l'equilibrio e indietreggiando di qualche passo. Non poteva dire sul serio. Non mi stava davvero cacciando. Era il funerale della mia migliore amica, dovevo dirle addio, lei non poteva impedirmelo... giusto?

In quel momento, il padre di Emily intervenne. «Dorothy, forse...»

«No» lo interruppe, trucidandolo con lo sguardo. «Io non la voglio.»

Il minuscolo barlume di speranza che si era acceso non appena il signor Walsh si era mosso in mia difesa, si spense in un attimo.

«Non puoi decidere per lei, se...»

Questa volta fui io a interrompere il signor Walsh: «No, non si preoccupi. Ha ragione lei. È sua madre, ha tutto il diritto di cacciarmi, quindi se non mi vuole qui, allora toglierò il disturbo. Vi chiedo di perdonarmi per il male che ho causato».

Pronunciai quelle parole con voce tremolante, quasi biascicando, ma non riuscii a fare altrimenti. Poi mi voltai ed ebbi la conferma che tutti avevano assistito alla scena. Vidi Tracey, Herman, Dylan, persino l'avvocato Finnston e suo figlio. C'erano anche i miei genitori. Se gli altri sembravano solo scioccati, questi ultimi sembravano contrariati e anche delusi. Delusi da cosa? Da me? Dal fatto che non ero più la figlia che si aspettavano che fossi?

I giornalisti si avventarono su di me, cominciando a pormi domande insensate per i loro stupidi articoli a cui non diedi neanche ascolto, cosa che mi venne facilitata dallo stato di trance in cui ero caduta: ogni suono mi pareva ovattato, le persone mi sembravano solo ombre, l'unica cosa che riuscivo a vedere con nitidezza era la strada davanti a me. Così, dopo essere riuscita a crearmi spazio per potermi allontanare da quell'affollamento di persone, scesi di corsa dalle gradinate e sparii dalla loro vista, come mi era stato ordinato.

Cominciai a camminare senza una meta precisa, seguendo il tragitto delineato dal marciapiede, continuando a fissare per terra. Non avevo la benché minima idea di dove mi stessi dirigendo, le mie gambe si muovevano da sole e non ne volevano sapere di fermarsi. Era come se cercassero di fuggire, di scappare. Ma scappare da cosa, precisamente? Dalla mia mente, dai miei pensieri. Peccato che non fosse possibile.

Cause it's rightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora