Capitolo Sedici

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Luke e Michael spalancano la bocca con delle espressioni così stupefatte da farmi quasi scoppiare a ridere. Quasi. Mia madre continua a fissarmi scandalizzata e sbuffo pesantemente, mio malgrado imbarazzata dal fuoco nelle sue iridi che sembra voler uccidere Ashton, sotto di me. Cerco di districarmi dalla stretta di Ashton, con l'unico risultato di farmi ancora più male e slogarmi quasi una caviglia. Gemo di dolore mentre la sua gamba mi trascina di nuovo a terra, e Calum scoppia a ridere, ancora accoccolato sul cemento poco lontano da noi, mentre Ash strizza gli occhi dolorante. - Aiutatemi - soffio. Il cuore mi martella in petto; l'unica cosa che voglio è togliermi da sopra ad Ashton e vedere mia madre sparire dalla mia vista. Sento un grosso blocca di rabbia pesare come un macigno sul mio stomaco, e sono perfettamente consapevole che il mio sorriso è sparito. Gli occhi verdi di Ashton mi seguono preoccupati. Ha capito che c'è qualcosa che non va, ma non dice nulla. Alzo lo sguardo e vedo la mano senza gesso di Michael tesa verso di me. La afferro con forza, alzandomi ma facendo attenzione a non far male ad Ash. Non appena sono di nuovo in piedi lascio la mano di Michael, che mi guarda incerto, e mi passo una mano tra i capelli, girandomi verso mamma. Si è posata le mani sui fianchi, e mi guarda con le sopracciglia corrugate. So quello che sta pensando. Quello che pensava anche quando eravamo una famiglia, quando avevo tredici anni e tornavo un minuto dopo il corpifuoco dalla pizzata di classe. Mia madre si arrabbiava facilmente, ma con eleganza. Il suo modo di rimproverarmi era sottile, velato; faceva ancora più male che se mi avesse gridato contro.

- Cosa ci fai qui? - chiedo gelida. Lei perde il suo cipiglio corrucciato, rimanendo sorpresa dalla mia freddezza. Ma non voglio avere nulla a che fare con lei. Non dopo quello che ha fatto.

- Non ti vedevo da un po', volevo passare del tempo con te, ma tuo padre mi ha detto che sei partita con questi... ragazzi - dice con tono pieno di biasimo. Mi mordo la lingua per non mettermi a urlare. Ha detto "ragazzi" come se pensasse che siano dei malviventi, o drogati. - Non sono d'accordo con la tua decisio...

- Loro sono i miei colleghi, mamma - replico fredda - e ora che mi hai vista puoi anche andartene. Ciao.

Mi volto e con decisione afferro la mano di Ashton, silenzioso e accanto a me, e comincio a camminare veloce verso l'entrata dell'aeroporto mentre lacrime di rabbia cominciano a pungermi gli occhi. Non mi vede da un anno e la prima cosa che mi dice è che non approva la mia decisione di provare a realizzare il mio sogno? Sinceramente, vaffanculo.

- Starò al Stamford Plaza per una settimana! - grida mia madre. Mi giro di scatto, continuando a camminare, e la vedo ancora lì, le braccia incrociate e i suoi occhi fissi sui quattro ragazzi che mi camminano accanto in silenzio. - Cosa vuoi che me ne freghi? - urlo.

Mi giro di nuovo e mi asciugo le lacrime, cercando di calmarmi e ignorare lo sguardo ferito che le ho visto in faccia. Ma non ci riesco; brucia sapere di ferirla così come lei ha fatto con me, eppure non riesco a smettere di comportarmi malissimo con lei. Dopotutto è solo colpa sua se non siamo più una famiglia. Sbuffo, ravviandomi i capelli e cercando di lasciare la presa sulla mano di Ashton. Ma lui stringe con più forza le mie dita. Alzo lo sguardo su di lui e vedo che mi sta guardando preoccupato.

- Dopo ne parliamo - sussurra. Annuisco e non posso fare a meno di sospirare quando mi circonda la schiena con un braccio.

La stanza dell'hotel stavolta non è lussuosa; è lussuosissima. Di sicuro hanno messo più cura a pulire il "nostro" piccolo appartamentino che per gli altri ospiti. Sono seduta su un divano blu scuro, quasi nero; le pareti della stanza, provvista di un salotto e una cucina separati solo da un corridoio tra il mio divano e un'altro bianco di fronte all'isola in marmo nella parte sinistra della stanza, sono viola. Ho le dita serrate attorno alla mia tazza di ceramica verde, piena di tè bollente. Ash è seduto accanto a me. La sua gamba preme contro la mia, ma non mi da affatto fastidio. È rassicurante, in un certo senso. Sento il suo calore attraverso i nostri jeans, entrambi neri. Il suo braccio sfiora il mio e sento il suo sguardo, così come quelli degli altri, puntato su di me. Calum è seduto a gambe incrociate sul pavimento, tra le gambe di Michael e con la schiena appoggiata al divano bianco perla. In una mano ha la tazza di tè e con l'altra sta scrivendo qualcosa sul cellulare. Michael, seduto dietro di lui, è completamente abbandonato sul divano e ci fissa con un'intensità che mi mette quasi a disagio mentre mescola lo zucchero nella sua bevanda. Luke sta finendo di mettere a posto la teiera, ma dopo qualche decina di secondi di completo, rilassato silenzio ci raggiunge sedendosi di fianco a Mikey e posandogli la testa sulla spalla. Fisso il liquido scuro, facendolo vorticare nella tazza mentre la faccio girare lentamente. - Ti va di... parlarne? - chiede con voce gentile Luke.

Cerco di stiracchiare un sorriso, anche se ho l'impressione di non riuscirci granché. Al solo pensiero di raccontare di nuovo quello che è successo mi sento male. - Sì - sussurro. Prendo un respiro profondo per calmare il nervosismo che inizia a mescolarsi all'ansia. Ho una paura terribile dei loro giudizi. Ashton si libera una mano dalla tazza e mi stringe con dolcezza il ginocchio. Sento una vampata di calore salire dal punto dove mi ha toccata fino a raggiungere ogni parte del mio corpo; ma, nonostante lo voglia disperatamente, non muovo la mano dalla tazza per intrecciarla alla sua.

- Puoi fidarti - mi incalza tranquillo Calum. Annuisco, deglutendo. - Lo so... solo che... non l'ho mai detto a nessuno tranne che a Jo - sussurro piano. Luke aggrotta le sopracciglia e si sporge in avanti per sentirmi meglio, così mi schiarisco la voce e cerco di parlare con un tono più alto.

- Era il giorno del mio compleanno. Avevo tredici anni, ed era appena finita la festa. Avevamo prenotato un'intera sala al cinema per me e i miei amici, e papà si era attardato a chiacchierare con un vecchio amico. Joanne... la ragazza mora che avete visto al bar... - loro annuiscono e io continuo a parlare, sollevata. Le parole adesso scivolano più facilmente fuori dalla mia bocca, è come se mentre parlo un grosso peso che fino ad ora non avevo mai notato, troppo abituata a sopportarlo, cominciasse lentamente ad alleggerirsi. Allungo una mano e sfioro esitante il dorso della mano di Ashton, ancora posata e immobile sul mio ginocchio. Non appena le mie dita toccano la sua pelle, rivolta la mano rivolgendo il palmo verso l'alto e allargando le dita, in un muto invito. Poso la mia mano sulla sua, e le sue dita si stringono alle mie. Alzo gli occhi e riprendo a parlare, rinfrancata. Sento il calore e il suo appoggio emanare da lui. - Joanne mi ha riportata a casa. Non abitavamo nella villa, non ancora. Comunque... ero entrata e stavo cercando mamma, non c'era da nessuna parte. Ma quando sono arrivata vicino alla sua camera... - mi interrompo, mentre comincio a sentire la nausea assalirmi lo stomaco. Sospiro profondamente. - Quando sono arrivata vicino alla sua camera... ho sentito dei... rumori.

Deglutisco e mi passo una mano sulla fronte. Ashton rafforza la stretta e si sporge verso di me, dandomi un bacio sulla guancia. Mi circonda le spalle con un braccio e mi costringe dolcemente a posare la testa sulla sua spalla. - Sono entrata - aggiungo. Batto le palpebre per scacciare l'improvvisa immagine che mi ha tormentata per anni e che comunque continua a farlo: mia madre, a letto con un altro tizio. E non un tizio qualunque. Il vicedirettore della sua azienda, nonché mio padrino. Ex padrino ed ex migliore amico di mio padre. Luke fischia piano, temendo già quello che sto per dire. - Era lì... con... il migliore amico di papà.

- Cazzo - commenta Michael, disgustato e scioccato. Calum mi fissa sbalordito, con un'espressione da pesce lesso. - Ma scusa... - dice confuso - come ha fatto quel tizio a non finire all'ospedale se tuo padre l'ha scoperto?

Scoppio a ridere, e un sorriso dolce si disegna sulle labbra di Cal. - Stupido - dico intenerita. Ash ridacchia e Michael e Luke sorridono. - Sono corsa via urlando mentre mamma cercava di calmarmi. Ho distrutto metà del servizio dei piatti - tratteniamo un sorriso al pensiero. Anche se è una cosa seria non posso fare a meno di ridere al pensiero. - In quel momento papà è tornato. Non ci ha messo molto a fare due più due: ha visti mia madre in vestaglia, Ryley senza camincia e con un succhiotto sul collo... li ha sbattuti fuori da casa in quel momento, senza voler nemmeno sentire una parola. Ha fatto cambiare la serratura, abbiamo buttato tutte le cose di mia madre nella spazzatura e quella sera abbiamo visto Nemo. Poi abbiamo pianto e... e ci siamo trasferiti una settimana dopo. Hanno divorziato e papà ha ottenuto la mia custodia, grazie a Dio. E il resto... be', lo sapete.

Loro annuiscono piano e abbasso lo sguardo sul mio tè, ormai tiepido.

- Noi siamo qui per te.

Cerco di trattenere le lacrime a quella frase pronunciata con così tanto affetto e calore da Luke. - Grazie - mormoro sfregandomi le dita sugli occhi.

- Sapete che ci vuole? - chiede all'improvviso Calum, saltando in piedi. Ash appoggia la guancia sulla mia testa e faccio del mio meglio per non arrossire. - Cosa? E leva il tuo bel culetto da davanti ai miei occhi, grazie - Cal ride alle parole di Michael.

- Una bella birra. E obbligo o verità - dice, guardandomi con i suoi occhi scuri scintillanti di malizia.

Prima che possa riflettere su quello che dovrei dire, sorrido. - Accetto.

Lucky Girl || Ashton Irwin || 5sos ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora