29. Federico Bernardeschi, @/

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Mi sento in gabbia, la sensazione di essere intrappolata è quella che provo: fuori la nebbia e la paura, dentro la sicurezza di un controllo che non mi lascia respiro, che non mi lascia scampo. Non è razionale, ma nella mia mente lo è perché ho bisogno di dare un senso a quello che faccio. Se ho uno scopo io mi sento al sicuro, mi sento una macchina che reagisce agli stimoli imposti da una parte dominante del cervello. È sbagliato e questo è evidente a tutti, persino a me anche se non faccio nulla per cambiare le cose, perché forse infondo preferisco che sia così. La porta della cella è aperta ma accostata e sono io a non volerla spalancare, di questo mi rendo perfettamente conto ma ho paura di farmi prendere dagli eventi, che una volta fuori il mondo e le sue cose su cui non ho controllo prendano il sopravvento su di me e sulla mia razionalità così rigorosa. E se mi lasciassi trasportare, dove potrei andare a finire? È di questo che ho paura, di non riuscire più a tenere stretta a me la mia vita se dovessi concedermi qualche libertà in più, che si prenda dal mondo tutto ciò che le ho impedito di avere e mi rovini definitivamente, e rovini definitivamente tutto quello che ho duramente ottenuto stando in questa gabbia di controllo senza scampo. Sono talmente abituata a vivere all'interno nel mio regime così duramente imposto che ho dimenticato cosa ci sia fuori dalla gabbia. Calcoli, appunti, grammi, numeri: non è possibile uscirne perché non avrei più il controllo di me.
Questo non è vivere liberamente, questo è non riuscire a concretizzare me stessa al di fuori di un numero. Se quel numero è troppo alto la razionalità sparisce e in quella gabbia entra troppa di quella luce esterna che temo.
Respiro.
Richiudo.
È meglio vivere con i numeri.
Anche perché i risultati a me soddisfacenti non mi danno ragione di cambiare abitudini. Certe volte però mi sento un po' soffocata e faccio coraggio a me stessa affinché respiri un po', affinché prenda fiato da quella sua sconsiderata determinazione a inseguire un numero ogni giorno. Non è abbastanza, niente mi soddisfa più di quello che la gabbia mi impone di fare.
Non so stare libera, fuori dalla gabbia faccio solamente danni ed è per questo che insaturo una catena con lei anche le poche volte che esco. Ho io la chiave, ma la mia psicologia mi impone di dimenticare di averla.
Se penso al momento in cui dovrò staccarmi da lei, un intenso terrore mi attanaglia e credo di non potercela fare: non sono più forte io.
Vivrò per sempre così? Forse sì.

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Federico strinse quella lettera fra le mani, ormai più bagnata di lacrime che il fazzoletto che aveva in tasca il giorno in cui lo avevano chiamato dall'ospedale per comunicargli che avevano ricoverato la sua ragazza, poco meno di un mese fa. Da allora non era ancora riuscito a toccare le sue cose senza in sua assenza, i suoi vestiti, da tempo tanto più larghi di ciò che veramente era. Era quello il motivo per cui aveva ritrovato da poco quel foglio stropicciato che aveva fra le mani, nella tasca di una delle sue giacche pesanti preferite, che ormai portava anche in primavera a causa della bassa temperatura del suo corpo.
Il suo cuore batteva ancora forte a causa dell'emozione provata per il suo ritrovamento. Conosceva ogni dettaglio della sua malattia, ma vedere quelle parole realizzate dalla sua stessa calligrafia piuttosto che da quella dei medici era una sensazione che non aveva ancora provato.
Era molto pensieroso ultimamente, non faceva che pensare a cosa avesse sbagliato, a cosa avrebbe potuto fare per evitare che la sua situazione peggiorasse, ma in cuor suo era perfettamente consapevole che su certe cose l'azione di un'unica persona non ha il potere di cambiare radicalmente la situazione. Non riusciva però a non colpevolizzarsi, era inevitabile perché, dopotutto, lui era la persona con cui lei passava più tempo. I medici gli davano consigli su come comportarsi con lei, ma lui era sempre più disperato anche se tentava di non darlo a vedere.
La sua ragazza stava morendo ogni secondo di più in cui non mangiava o non mangiava a dovere e lui non poteva farci nulla.
Si strinse i capelli del ciuffo castano chiaro fra le dita, poi si alzò di scatto.
Non era mai stato uno che si arrendeva. Quindi l'avrebbe salvata, a qualunque costo.
Per la prima volta dopo mesi, ne era certo.

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