8 - Non dirmi niente

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Nonna Sumia Heri mantenne la sua dignità fino alla fine della cerimonia. I parenti, tra cui idue figli ancora in vita, non mostrarono il benchè minimo conflitto nel privarla dei suoi poteri.

Poco prima dell'ultimo passaggio, però, si premurò di salutare i due amati nipoti. Prima toccò a Lubren Zero, che si abbassò per lasciarsi baciare sulla fronte, ascoltando le sue raccomandazioni sussurrate e quelle carezze materne che avrebbe accettato solo da lei. Poi fu il turno di Portia Kora, che con le lacrime agli occhi si ritrovò priva di parole. Sumia Heri la salutò come se dovesse partire per un luogo lontano e le disse che l'amava e che era fiera di lei.

Fatto questo, grazie alle rune e al tatuaggio inibitore che le venne inciso alla base della gola, la dolce nonnina dagli occhi gentili divenne una persona comune. Solo dopo qualche ora compresero il perchè dei suoi saluti al culmine della commozione: Sumia Heri non proferì più parola da quel giorno, chiudendosi in un mutismo tenace quanto la sua tempra.

Le settimane passavano e lei inventava nuovi modi per farsi capire, a volte suonando il clavicembalo per esternare il suo malumore, a volte gesticolando per imporsi.

Fu nel quarto mese dell'anno successivo che proprio lei, nel cuore della notte, destò Portia Kora con palese preoccupazione.

"Nonna, cosa succede?" le chiese la nipote anche se non avrebbe ottenuto alcuna risposta. Sumia Heri, con la treccia spettinata sulla spalla e in vestaglia da camera, le fece un cenno verso la finestra della stanza in penombra. Anche se scalza e in camicia da notte, non perse tempo e si precipitò a scostare le tende, intuendo già cosa avrebbe visto.

Ricalcando le sue previsioni, una figura femminile vestita di grigio camminava con passo incerto tra gli arbusti del giardino di cenere. "Ancora... " si lasciò sfuggire, stringendo la spalla di Sumia Heri prima di pregarla di tornare a dormire. Una volta in corridoio, non si curò minimamente dell'ora proibitiva e salì le scale che conducevano alle stanze private dell'Arcano.

Portia Kora agì in buona fede quando bussò discretamente alla porta di Lubren Zero. Il trentenne a capo della famiglia impiegò solo una manciata di secondi a spalancare il battente; anche lui era scalzo e scompigliato, ma l'impatto con quella visione le prosciugò la lingua e le incendiò le guance. Il pantalone blu scuro enfatizzava la pelle esposta del torso nudo, dove oltre ai muscoli decisamente impressionanti, risaltavano i tatuaggi che possedeva ogni Arcano. Su di lui disegnavano un insieme di linee armoniose e ipnotiche, interrotte dall'oro bianco dei pendenti che adornavano la sua pelle in modo tribale. I capelli, leggermente mossi e in totale disordine, lo avevano spinto a tuffare una mano in quelle ciocche scure, per ricomporsi o forse per svegliarsi. Un languore sconosciuto le avviluppò lo stomaco e fu così improvviso che per qualche secondo riuscì solo ad aprire la bocca senza espellere un soffio.

"Portia Kora? Cosa... Che ore sono?"

Non gli aveva mai sentito quel tono basso e gutturale; era così virile e sorprendente che ancora una volta boccheggiò e scosse la testa, incapace di esprimersi. Lui interpretò a modo suo quella reazione e aggrottò le sopracciglia, afferrandola per le spalle. "Stai bene, è forse successo qualcosa?"

Si sentì una sciocca, un'ingenua e isulsa marmocchia. Questa considerazione però servì a destarla dal suo momento di crisi. "Lea Des" pronunciò per metterlo al corrente in fretta della situazione. Ormai, quando si riferiva alla donna che avrebbe dovuto incarnare sua madre, la chiamava per nome. Lei d'altronde non sembrava interessata a corregerla.

"Di nuovo?" chiese lui solo per forma, chiudendosi la porta alle spalle. "Vado io a prenderla. Tu torna pure a dormire."

"Voglio venire anch'io" dichiarò Portia Kora affiancandolo lungo il corridoio deserto, le cui nicchie sembravano sussurrare. La casa si mostrava sempre riluttante al via vai notturno dei suoi abitanti.

Portia Kora - Il confine dell'OssidianaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora