Capitolo 1

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Da bambino giocare all'aria aperta era per me fonte di infinita gioia e di grande fatica. Calcio, basket, rugby erano il mio pane quotidiano. Ci ritrovavamo al parchetto sotto la collina.

Giorgio e Michele, i miei cugini, portavano sempre la focaccia appena sfornata della nonna. Oltre a noi tre, la nostra compagnia era formata da Sara e Cristina e Antonio e Simone. Ci divertivamo molto, anche perché le due ragazze non si preoccupavano di farsi male.

I pomeriggi passavano velocemente e, ridendo e scherzando, tornavamo a casa tutti sporchi ma sorridenti. Il nostro legame era unico, ci conoscemmo per caso, in una giornata di primavera. Andavamo tutti nella stessa scuola elementare, nella stessa sezione, solo che stavamo con bambini diversi.

Ricordo che io e i miei cugini vedemmo Sara e Cristina alle prese con le bullette della classe. Le lacrime solcavano il visino paffutello di Cristina e grandi scossoni le scuotevano il corpo, davanti a lei una coraggiosa Sara tentava di aiutare la sua amica difendendola il più possibile. Non ci pensai un attimo di più, sapevo quanto fosse brutto essere presi di mira, io stesso ne ero stato soggetto, andai da loro e con parole non molto gentili intimati loro di allontanarsi da me e da loro, ma soprattutto di non dare più fastidio alle due bimbe o la maestra ne sarebbe venuta a conoscenza.

Da quel giorno diventammo inseparabili.

Con l'inizio delle medie nacquero delle discrepanze tra noi, portate da nuovi interessi, nuove persone, nuove attività, ma riuscimmo in qualche modo a cavarcela.

Fu con l'inizio del liceo che la nostra amicizia si interruppe. Lo studio, le scienze, lo sport ci allontanarono. Giorgio e Michele innamorati fin da piccoli della matematica e della chimica si ritirarono sui libri, Sara e Cristina si dedicarono allo sport ma soprattutto a nuovi tipi di conoscenza e io mi ritrovai costretto a praticare uno sport per volere di mio padre.

Tommaso De Luca, mio padre, era stato un grande giocatore di rugby, aveva dedicato i suoi anni migliori alla squadra cittadina e della scuola. Fu un bravissimo capitano, un bravissimo Tighthead Prop, il suo fisico più simile a quello di un gorilla che ad un comune umano, attirava sguardi di chiunque. Mia madre mi racconta che il suo ego era pari alla sua massa muscolare, l'ultimo a uscire dal campo, ma il primo a ritrovarsi al terzo tempo già con una birra in mano.

Una promessa dicevano, sì certo, fino al giorno dell'infortunio. Per Tommaso De Luca la frattura scomposta esposta di tibia e perone segnò la fine di un'era. Dovette rinunciare alle offerte delle più grandi società, dovette rinunciare alle borse di studio, ma soprattutto dovette rinunciare alla sua idea di futuro.

Nonostante ciò la passione non gli venne meno, completò gli studi: divenne avvocato, sposò Alice Bianchi, l'unica donna, nonché amica d'infanzia che gli riuscì a star vicino dopo l'infortunio, e divenne coach.

Il mio destino fu scritto alla mia nascita, io avrei dovuto essere il fenomeno che mio padre non era riuscito a diventare.

A tre anni venni portato per la prima volta a vedere una partita, successivamente all'età di cinque anni iniziai ufficialmente la mia carriera da rugbista. Non ricordo di aver provato alcun tipo di sport al di fuori di questo, così come non ho ricordi di mio padre che accennava un possibile cambiamento nei miei interessi sportivi. Non amavo i giochi violenti, da bambini non lo sei, ma crescendo la competitività fa accendere una rabbia in corpo che ti rende succube e accecato. "Vittoria" è l'unica parola che devi conoscere e l'unica che deve esistere nella tua testa durante il match.

Ho versato tante lacrime, rotto molte ossa, ma nulla mio padre non si smuoveva di una virgola.

Non volle neanche sapere quali fossero le mie vere passioni.

Luce oltre i miei occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora