18 settembre 2011.
Una data che non ha nessuna spiegazione apparentemente, ma porta con sé tantissimi avvenimenti e tantissime emozioni.
Dopo più di due anni di lezioni di vita e di pittura, Mastro Ascanio mi ha ritenuto pronto, pronto ad affrontare la vita, pronto a vivere.
In due anni non mi ha solo insegnato a dipingere, ma mi ha fatto anche capire che la mia disabilità non deve essere vissuta come un peso.
È una benedizione.
La cecità mi ha concesso di vivere una vita mia, fatta dai miei desideri, dai miei sogni, una realtà particolare che nessuno può vivere se non tramite i miei occhi, i miei quadri.
"La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che decide a sé stesso riguardo a ciò che ha visto" diceva Picasso.
Non ci credevo all'inizio, pensavo che la pittura fosse per i vedenti, come può un cieco dipingere la realtà se non la vede?
Con Ascanio ho imparato il vero significato di realtà e ho capito appieno il senso di questa frase.
Ascanio è stato per me non solo un maestro, ma un fratello maggiore e soprattutto un padre, quello che io non ho mai potuto avere.
Ho potuto contare sempre sul suo aiuto, sui suoi consigli, ho avuto modo di prendermi delle lavate di capo, ho potuto parlare liberamente senza entrare nel terrore.
Il suo addio mi destabilizza; per me rimane una figura fondamentale.
Ho provato a prendermi in giro dicendomi che sarà solo un "arrivederci": so che non è così.
È un po' come il film di "Mister Magorium e la Bottega delle Meraviglie": ad un certo punto il giocattolaio Magorium finisce tutte scarpe che ha conservato e utilizzato per tutta la vita, perché il suo compito è giunto a termine. E io mi sento un po' come Mahoney, la giovane apprendista alla ricerca di sé stessa, con un'intera bottega di giocattoli da gestire e non saper da dove incominciare.
Io so gestire la mia bottega? So gestire me stesso e le mie opere senza di lui?
Ho paura.
Ho paura di non farcela da solo senza di lui.
Prima di lasciarmi, vedendomi in crisi, si spese in due parole di conforto: «Ragazzo, i nostri momenti sono oramai giunti alla fine. Ti ho trasmesso tutto il mio sapere, che tu hai appreso con enorme diligenza. Sei un artista fatto e finito, niente e nessuno potrà toglierti la visione del mondo che hai tu. Verranno persone da ogni dove a criticare il tuo lavoro, ma tu continua a sorridere e a sentire i colori come hai sempre fatto.».
So per certo che si sforzò tantissimo per farmi questo discorso, non voleva lasciarmi andare senza infondermi la forza di continuare.
Un sorriso malinconico, due lacrime, tre parole: "Grazie di tutto", ecco come l'ho salutato.
Era caldo per essere settembre, ma dentro di me sentivo solo il freddo.
Fu difficile da superare.
Con un pilastro in meno è complicato camminare: c'è prima un periodo di speranza, speri con tutto te stesso che la persona che aspetti ritorni da te.
Io ho aspettato tante volte lo scampanellare familiare di Ascanio, due trilli del campanello a distanza ravvicinata.
La mia delusione del nuovo silenzio era palpabile.
Successivamente vivi un periodo di assestamento in cui cerchi di superare la cosa, facendo le cose che te lo ricordano di più. Fai tutto quello che è nelle tue capacità per averla vicina a te ancora una volta, non per forza fisicamente anche solo con il pensiero.
Questa soluzione fa male ma bene allo stesso tempo. Ho riempito l'assenza di Ascanio dipingendo, immaginandomi i suoi consigli e i suoi rimproveri. Lasciavo i pennelli sporchi, consapevole che se lui li avesse visti mi avrebbe ammonito minacciandomi di farmi dipingere con la lingua.
Dopo la fase di assestamento viene quella di accettazione, è quella che più fa male, non sempre accetti la mancanza di qualcuno, perché dovresti? D'altronde ammettere che una persona ti ha lasciato significa soffrire e dover capire che ormai non c'è più.
Io non ho mai accettato che Ascanio se ne fosse andato e non penso che lo farò mai. La sua mancanza anche accettandola nessuno potrebbe riempirla, troppo grande, troppo importante.
Solo lui potrà averequel posto speciale.
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Luce oltre i miei occhi
General FictionLa pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a sé stesso riguardo a ciò che ha visto. (Pablo Picasso) Cover Credits: @skadegladje