La serata era fresca per essere agosto, eravamo tornati a casa dopo la mia mostra, non sapevo ancora come fosse andata, Clara doveva ancora contare i numeri e pensare ad altre cose, ma nonostante ciò era venuta con noi.
Quella sera avevo deciso di accompagnare alla festa di paese mia sorella insieme alle sue amiche e Clara si era gentilmente offerta di accompagnarmi.
Le risate e i canti riempivano l'aria, i violini suonavano dando il via a danze frenetiche, giovani e vecchi uniti insieme.
Arrivando mi salutarono più volte, e il mio dolce, birbante cane fu abbordato da tutti i bambini che soddisfarono la sua voglia di essere coccolato e di avere molte attenzioni.
Clara camminava al mio fianco silenziosa. La percepivo calma e avvolta dalla pace, fu per questo che il silenzio non mi apparve pesante.
«Che ne pensi? I tuoi standard di bellezza ed eleganza sono stati raggiunti anche se sei ad una sagra di paese?» le chiesi scherzando. La nostra conoscenza durante la preparazione della mostra era passata ad uno passo successivo: uscivamo insieme per andare a bere uno Spritz, o per andare a vedere piccole mostre d'arte e discutevamo dell'allestimento e del trasporto dei miei quadri.
«Oh Sebastiano, è pure al di sopra delle mie aspettative, non percepisci l'eleganza nelle voci dei tuoi cari compaesani?» mi rispose stando al gioco.
Il bello di lei stava nelle piccole cose, amava giocare e scherzare e non si offendeva mai per davvero. La sua passione per l'arte, l'antico e la stravaganza traspariva da ogni sua parola o gesto.
Mi piaceva stare in sua compagnia, era rilassante, fin da quando ci eravamo conosciuti non mi aveva mai fatto pesare la malattia ed era sempre stata molto carina, a volte anche facendo delle battute, che però non si erano mai rivelate offensive nei miei confronti.
«Oh che gioia sapere che qui tutto è di suo gradimento vostra altezza» mi esibii in un piccolo inchino con la testa facendole una linguaccia.
La ragazza scoppiò a ridere e afferrandomi la mano mi disse: «Mio caro Messere la sua maturità mi sorprende! che ne dici se andiamo ad abbuffarci di dolci accompagnati con dell'ottimo vino?», sorrisi e mi lasciai guidare da lei.
Una sorpresa, ecco cosa era per me, una continua fonte di particolari da scovare.
Stavamo mangiano tiramisù e bevendo del vino bianco quando la band iniziò a suonare "Johnny B. Goode" di Chuck Berry. Sentii un movimento della sedia su cui era seduta, la sua voce si fece più forte quando si avvicinò al mio orecchio: «Dai andiamo a ballare! Adoro questa canzone».
«Non ero capace di ballare quando avevo gli occhi, figurati ora che sono cieco» le risposi scuotendo la testa.
«Dai!! Ti prego, non sarai così male e ti puoi appoggiare a me» a malincuore e vista la supplica nella sua voce decisi di accettare, così ci mettemmo a ballare sulle note della "Gipsy Dance".
La riconobbi: era la copia in tutto e per tutto della versione di David Garrett.
Una mano sulla vita di lei e l'altra intrecciata e le danze partirono.
Cercai di ricordare quei passi di tango che mia sorella mi aveva costretto ad imparare per aiutarla, iniziai a condurla sperando di non sbattere contro nessuno.
Fu così, perché come spazio in cui ballare Clara aveva scelto un posticino, nei pressi della pista da ballo, ma comunque isolato.
Mi piacque volteggiare immaginandomi il suo dolce viso paffuto, sulla sua bocca carnosa si apriva uno splendido sorriso. I suoi occhi di un colore indefinito brillavano.
Oh come era bella!
Il silenzio tra noi era paradisiaco, mille emozioni, mille sensazioni passavano attraverso i nostri corpi trasformate in scariche di energia, pulsioni.
La musica giunse al termine e noi ci staccammo, complici della tensione tra di noi ci prendemmo per mano, ci dirigemmo di nuovo al bar senza parlare.
«Comunque non sei un cattivo ballerino, sei molto in gamba», sorrisi,
«Ti prego non prendermi in giro, so benissimo che la mia coordinazione non è delle migliori.» le risposi ridendo.
«Mi hai fatto volteggiare ballando un tango, a dir poco perfetto, e tu non ti definisci un bravo ballerino?» esclamò sorpresa lei.
Venimmo interrotti dalla voce di mia sorella:
«Fratellone vedo che le mie lezioni di tango di sei anni fa sono servite a qualcosa, nonostante la tua cecità hai condotto Clara in maniera esemplare, potresti pensare di fare il ballerino e mollare la carriera da pittore, forse faresti più fortuna.»
Io e Clara scoppiammo in una risata cui si aggiunse anche quella di mia sorella prima di andarsene dalle sue amiche.
Rimasti di nuovo soli parlammo del più e del meno fin quando la festa non giunse al termine.
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Luce oltre i miei occhi
General FictionLa pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a sé stesso riguardo a ciò che ha visto. (Pablo Picasso) Cover Credits: @skadegladje