Capitolo 7

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Se con la pittura e il gruppo di sostegno tutto andava per il meglio, non potevo dire lo stesso per il mio rapporto con mio padre. Quel poco che c'era grazie al rugby si era velocemente deteriorizzato, quella passione che doveva unirci ci aveva separato nuovamente.

Dall'incidente mio padre si era limitato a starmi "vicino", assecondando le richieste di mia madre, successivamente aveva deciso che mia madre stava esagerando, così si rinchiuse in un silenzio ostinato, parlando solo con mia sorella per tutto ciò che riguardava la scuola e lo sport.

Non volevo che mia sorella provasse lo stesso abbandono che avevo subito io, decisi che almeno per lei dovevo affrontarlo, per provare ad essere il suo principe azzurro ancora una volta.

Decisi di affrontarlo in una freddissima giornata di dicembre, il vento soffiava e, nonostante non fossimo in montagna, le previsioni preannunciavano neve.

Lo trovai nel suo ufficio; il silenzio era interrotto dal fruscio delle pagine che giravano, pensai che stesse leggendo il suo amato libro degli schemi, una specie di diario contenente tutte le tattiche e i risultati delle più grandi squadre internazionali. Se l'era scritto lui e puntualmente lo aggiornava, per poi proporre e provare le strategie sulla sua squadra.

Quando tornavo a casa dall'accademia, puntualmente mio padre li provava su di me, per poi portarmi come cavia nei suoi allenamenti. Quante parole mi sono sentito per non aver compiuto il movimento correttamente davanti i suoi amati allievi, troppe.

Scossi la testa, dovevo essere fermo o non mi avrebbe mai fatto parlare fino in fondo, la sua prima regola consisteva nel essere sempre sicuro di se stessi.

Mi schiarii la gola per farmi sentire, ma non mi parve che alcun cambiamento fosse avvenuto, fregandomene dei fogli che continuavano a scorrere.

«Tommaso, ti devo parlare.», il rumorio terminò, ma nulla interruppe il silenzio, fu solo questo a darmi risposta.

«Devi lasciare in pace Margherita, non ha bisogno di un padre assillante e per nulla presente per tutto quello che non riguarda la scuola e la danza.».

Una risatina ironica si fece finalmente spazio, seguita dalla voce profonda di chi era padre solo per via dei geni.

«Seba, Seba, Seba, non vedo il motivo per cui tu debba impicciarti di questo fattore, nessuno ti ha chiesto di interferire nella mia vita e in quella di mia figlia.».

Me lo immaginai con il suo crudele sorriso e la rabbia ribollì dentro di me.

«Margherita è mia sorella, ed è la cosa più importante per me, ma questo tu lo sai già o mi sbaglio? Non è forse per questo che hai iniziato a pressare lei, finché c'ero io lei poteva vivere tranquilla.».

Strinsi i denti per la rabbia e li sentii stridere, un battito di mani, un applauso rimbombò e la voce a seguirlo immancabile: «Ma bravo il piccolo Sebastiano, sei sempre stato molto intelligente, forse troppo poco per il rugby, ma il tuo livello è ottimo per quei libruncoli che leggi, ah no che sbadato tu non puoi più leggere» strinsi i pugni dalla rabbia ma decisi di non rispondere.

Lui non si fermò continuò ad infierire pesantemente: «Tu sei sempre stato un giocatore che non valeva nulla. E guarda come sei ridotto ora, sei inutile, uno scarto della società, mentre tua sorella, tua sorella può sfondare nel mondo della danza, può diventare qualcuno. Di sicuro lei non è una fallita come te.»

«Non ci devi neanche pensare, lei la devi lasciare stare hai capito?» le sue risa mi fecero innervosire ancora di più.

«Ah sì? E chi mi fermerebbe dal farlo? Tu? Un povero cieco che non si regge neanche in equilibrio da solo?» mi diede una spianta e io per la sorpresa caddi a terra, sghignazzò uscendo dalla stanza.

Rimasi lì, inerme, consapevole che mio padre aveva ragione, come poteva un povero cieco proteggere sua sorella se non si reggeva neanche in piedi da solo.


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