Ghiaccio

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CAPITOLO 13

Ghiaccio

Eleonora:

Il cuore era stretto in una morsa di ghiaccio malgrado i trenta gradi all'ombra. Ne percepivo il peso, straziato nel petto, e soggiogato dai fardelli che mi portavo dentro. Il palmo della mano di Dmitri era rovente sulla gola, come se avesse voluto marchiarmi. Quando riprese le distanze, mi tastai il collo, riprendendo fiato. Tutta quella tensione fra noi, non avrebbe giovato a nessuno dei due. Iniziai a tormentarmi un ciuffo di capelli per il forte nervosismo; tirandoli alla radice e pizzicandomi con piacevolezza la cute. Era un disturbo dovuto agli attacchi d'ansia acuta: Tricotillomania Transitoria. E tutto perché avevo bisogno di provare dolore per rifugiarmi in una distrazione nella quale scappare dalla situazione presente, e dalla mia mente. Soprattutto da quella. Qualunque cosa pur di non pensare a niente. Intento a fissarmi, parve deciso a scavare nel mio animo e leggervi i segreti più reconditi. Sentii il suo sguardo toccarmi nel profondo. E, in un certo senso, volevo che riprendesse a farlo. Agognavo le sue mani su di me, bramandole con grande ardore. E questo mi destabilizzava. Nessuno perdeva tempo ad approfondire una persona senza un tornaconto personale. Nessuno. Quindi perché tanto interesse per me? Arricciai la ciocca soffice attorno al mio indice destro e, i suoi capelli, attirarono la mia attenzione. Si raccoglievano in morbide onde, infiammate dal tramonto, al punto da provare l'irrefrenabile impulso di scostarglieli dalla fronte, imitandolo. Io però non ero lui. Oltre a Lucifero, Dmitri ricordava Malpelo: "si chiamava così perché aveva i capelli rossi; e aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo". Era padrone di sé stesso. Sembrava capace di dominare ogni tipo di situazione; io, a malapena ponderavo il mio stesso respiro. La mia difficoltà nell'esprimermi, produceva un disagio che si autosostentava. Lui e io eravamo diversi quanto il ghiaccio e il fuoco, figli di due mondi distanti, lontani anni luce l'uno rispetto all'altro. Avrei potuto perdonarmi se fossi rimasta ignara della sua conoscenza.

«A cosa pensi?» chiese, abbassandosi ancora una volta verso il mio volto, scrutandone i lineamenti. Le nostre labbra si calamitavano l'una contro l'altra, in cerca di un contatto eterno. Il suo respiro addosso e la bocca vicino alla mia, erano quanto di più erotico potessi desiderare. Trattenni il fiato e sentii la gola inaridirsi.

Inumidii le labbra secche: «Io...», la mia voce tremolò quanto la fiamma di una candela quando viene accarezzata dallo spiffero d'aria, «Non so cosa aspettarmi», mormorai, puntellando le unghie sulla gamba sinistra e incidendo microscopiche mezzelune. Con le mani impegnate, speravo di far cessare la crescente sensazione di diniego nei miei stessi confronti, prima d'esserne sopraffatta. Facevo pena. Che comportamento stupido. Ridicola e stupida, perché dovevo essere sbagliata?! Mi rimproverai, e per punirmi, iniziai a mordicchiarmi l'interno della guancia destra. Lui continuava a essere troppo vicino. Il mio spazio vitale era dominato dalla stazza e dal fisico atletico, che soffocava il mio, senza alcun contatto e remora. Desideravo toccarlo, avvolgerlo fra le mie braccia e stringerlo a me. A differenza sua, io non lo odiavo affatto. Stava per baciarmi di nuovo quando la suoneria del suo cellulare congelò i secondi.

Egli divenne ermetico, allontanandosi di qualche passo. L'espressione mutata e il timbro di voce, profondo, arrochito dalla frustrazione, sfumarono ogni traccia di sensualità: « да*», anche il tono cambiò, non lasciando trapelare nessuna eccitazione. Ma come ci riusciva?! «Arriviamo... A dopo», chiuse la chiamata e scrisse qualcosa sullo schermo piatto dell'iPhone.

Rabbrividii. Non farti prendere dall'ansia. Sospettai il peggio: montare in sella sulla dannata motocicletta. Deglutii, intimorita da quello che sarebbe potuto accadere in precedenza.

«Era Sam, non sono lontani da qui. Andiamo, dobbiamo raggiungerli», disse senza guardarmi, e avviandosi verso la moto da cross. Come temevo. Già in iperventilazione, mi agitai ancora di più. Accortosi che non lo stavo seguendo, si volse nella mia direzione. Sulla fronte vi lessi la perplessità scritta a chiare lettere. Inarcò il sopracciglio col piercing, osservandomi dubbioso e stizzito: «Si può sapere perché non vuoi salirci?! Non c'è motivo d'aver paura se sei con me. Sono il migliore alla guida», affermò privo di modestia – Qualità che non gli apparteneva.

Scossi il capo con forza: «Io non ho paura, e che...», mi bloccai, sgranando gli occhi. Cominciarono a formicolarmi le punte delle dita e a sudarmi i palmi delle mani. Cosa potevo dire?! Mi morsi il labbro inferiore, torturandolo come al solito. Avrei dovuto svelargli la verità? Il mio battito cardiaco mi rimbombò nelle orecchie, e il familiare nodo in gola, iniziò a stringersi. Mi si tappò l'udito, e percepii le guance andarmi a fuoco.

«E tu che cosa?», domandò, incrociando le braccia al petto. Non riuscivo a far altro che a guardarlo inerme, senza dargli una risposta concreta. L'echeggiare dei versi dei gabbiani all'orizzonte e l'infrangersi delle onde del mare sugli scogli, erano gli unici rumori di sottofondo a quel silenzio imbarazzante, calato su di noi. Assonanze naturali che colmavano il vuoto lasciato dal suo quesito. Sbuffò, sciogliendo l'intreccio delle braccia e lasciandole penzolare lungo i fianchi. La postura tornò quella di prima: «Sono stufo dei tuoi discorsi a singhiozzo. Non te lo ripeterò una terza volta. E che cosa?», rinnovò la domanda, frustrato dalla mia quiete apparente.

Tesa come una corda che si sarebbe spezzata al minimo strattone, per un assurdo secondo, optai di buttarmi dallo strapiombo della scogliera su cui c'eravamo nascosti, pur di non rivelargli nulla, ma scartai immediatamente l'ipotesi. Morire non sarebbe stata una buona soluzione... Non avendo alternative o scappatoie disponibili – se non la verità – abbassai il capo, rassegnata. Presi un profondo respiro e buttai fuori l'aria dalla bocca, mentre la mia voce si faceva largo dalla gola alle labbra, flebile quanto la brezza leggera: «E che non porto le mutandine».

Vol 1 // XXX - PERVERSODove le storie prendono vita. Scoprilo ora