Carezza Crudele

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CAPITOLO 15

Carezza crudele

Eleonora:

Mi sentii soffocare nonostante fossimo all'aria aperta. Nei dintorni, nessun curioso a spiarci – e nemmeno ad aiutarmi. Attorno a me il paesaggio rurale iniziò a girare, gravitandomi intorno e sfocandosi, fino a rendersi una macchia indistinta di colori vomitevoli, omogenei e indistinguibili fra loro, senza contorni definiti. Sto per svenire. Mi portai la mano destra alla fronte, per sostenermi mentre barcollavo, cercando di reggermi in piedi. Chiusi gli occhi, concentrandomi, ma peggiorai le condizioni. Avevo la nausea e volevo rimettere. Tutte quelle emozioni, il caldo, e il fatto di aver mangiato poco a pranzo, avevano scatenato un effetto domino, a tal punto da non riuscire più a reggermi sulle mie stesse gambe. Avvertii il tocco delle braccia di Dmitri che mi cingevano i fianchi per sorreggermi e non cadere faccia a terra.
Senza neanche rendermene conto, si era avvicinato a me, così che potessi appoggiarmi a lui. Mi avvolse fra le sue braccia, sorreggendomi con facilità, e chiamandomi un paio di volte, ma io non gli risposi. La sua voce alla fine si spense e tutto il mondo venne fagocitato dal buio. Non era la prima volta che mi capitava, in qualche modo c'ero abituata a questi miei piccoli blackout estivi; ma non c'era mai stato nessuno pronto a reggermi.

Quando riacquistai i sensi, il sole era quasi sparito, divorandosi il tempo perso. Il faro bianco, di Santa Maria di Leuca, si stagliava verso il cielo, vegliando sulla costa, non molto lontano. Il mondo non aveva smesso di roteare attorno me: molto più lentamente rispetto a prima, ma non del tutto fermo, e portava con sé un mal di testa dalle portate colossali. Era difficile concentrarsi quando lo stato di malessere prendeva il sopravvento. Capii in un secondo momento d'essere all'interno dell'auto degli sposi, deposta sul sedile del passeggero. Gli scorsi in lontananza, attraverso il parabrezza posteriore, davanti a un paio di fotografi – quelli ufficiali – in posa.
«Tesoro, ti sei ripresa?», la voce dolce della mamma attirò la mia attenzione: «Vuoi che chiami un'ambulanza?». Scossi il capo con lentezza. Trovai le portiere aperte, in modo tale che circolasse aria fresca. Un bicchiere di plastica, colmo d'acqua e zucchero, entrò nella mia visuale. Mi soffermai nel notare come il viso, segnato dal tempo, fosse attraversato dalla preoccupazione e dalla premura; eppure nonostante tutto mi sorrise, porgendomelo: «Bevi piano, ti sentirai meglio». Ubbidii in silenzio, chiedendomi invece che fine avesse fatto Dmitri. Fra i vari invitati, non c'era. Lo restituii con gratitudine, sentendomi subito meglio, ma sapevo che dovevo aspettare almeno un quarto d'ora per affermarlo con certezza. «Torno subito», mi rassicurò prima di allontanarsi di nuovo, ticchettando via. L'abito in dosso, color pervinca, svanì fra la folla, radunatasi nello spazio aperto, vicino alle sponde del mare. Sarà andata ad avvisare papà, rimuginai. Abbassai il capo, osservandomi afflitta le mani bianche in grembo, senza vederle davvero.
Ero un vero disastro. Non riuscivo neanche a reggermi in piedi senza combinare casini. Che imbarazzo.
Mi coprii il viso con i palmi delle mani, provando a non emettere alcun singhiozzo mentre gli occhi si riempivano di lacrime. La coltre della mia chioma liscia, mi accarezzò le dita, solleticandomi l'epidermide. Poco dopo, sentii un leggero soffio tiepido, che sapeva di menta, e un sentore leggero di tabacco bruciato, come se qualcuno avesse fumato da poco. Scostai le mie dita dal volto bagnato e l'aroma – che conoscevo fin troppo bene – mi arrivò pungente, tanto da pizzicarmi il naso. Mi voltai e lo vidi.

Lui era con me. Un angelo custode vestito di ombre. Si chinò, puntellandosi sulle gambe per nascondersi da occhi indiscreti. La sua espressione era come al solito, indecifrabile. Quegli occhi affilati, verde inglese, sapevano suscitarmi un vortice di emozioni contrastanti, talmente forti e travolgenti, da provare dolore. Dolore fisico, che mi attanagliava testa, petto e ventre, e inoltre, aveva il potere di confondermi.

Eravamo due folli peccatori che si provocavano a vicenda.
Una lacrima solitaria sfuggì al mio controllo, solcando la gota destra, e attirando il suo interesse. Volevo asciugarla con discrezione, e scacciare via la sgradevole sensazione d'inadeguatezza che portava, ma non ebbi la forza di farlo. Debole ed esposta, rimasi immobile, inerme difronte all'imbarazzo.

Dmitri allungò la mancina sulla guancia, donandomi una carezza per cancellare la piccola goccia vergognosa. Il tocco bruciò sulla pelle: una sensazione paradisiaca e diabolica al tempo stesso.

«Sei davvero perfido», bisbigliai, scostandomi dal suo tocco: «Ti diverte così tanto che ci possano scoprire e finire in grossi guai?», chiesi, ragionando sull'incoerenza dimostrata. Diceva di odiarmi e di volermi. Quale modo migliore di torturarmi se non questo?

Per quanto apparisse bello all'esterno, era marcio all'interno.

Rimase interdetto, quasi sorpreso, ma fu solo per un attimo. Il ghigno che lo contraddistingueva dagli altri affiorò sul volto. Mi pizzicò dove aveva toccato poco prima, ignorando il lamento che sfuggii al mio controllo. «Non mi diverte affatto...», aggiunse con ovvietà: «Mi eccita».

Abominevole. Era senz'altro un individuo mordace, pericoloso... e sadico. La Chiesa dimenticava di avvisare i credenti: anche gli angeli erano mostri.

Vol 1 // XXX - PERVERSODove le storie prendono vita. Scoprilo ora