Il gioco

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CAPITOLO 12

Il gioco

Dimitri:

Nonostante fossero le sei del pomeriggio, il sole era ancora alto in cielo. Una leggera brezza estiva smorzava il forte caldo, e malgrado preferissi di gran lunga la Catena del Caucaso alla distesa d'acqua salata, la divisione netta tra il mar Adriatico e lo Ionio, fu uno spettacolo suggestivo. Mi tastai le tasche dei pantaloni per scovare le mie Sobranie black russian, il pacchetto di sigarette, e fumarmene almeno un'altra. Sperai che il vento, e la velocità, non lo avessero portato via. Trovai ciò che cercavo poco dopo, e sistemai la cicca nera fra le labbra, per accenderla. Intento a rintracciare anche l'accendino, la voce di Eleonora mi colse alla sprovvista: «Non dovresti fumare... ti farà male», mormorò. Qualsiasi cosa dicesse, le usciva in tono intimorito e pervaso di premura, mai chiaro e altisonante.

Chissà se gridava durante il sesso...

Mi sfuggii l'accenno di un sorriso nonostante l'umore funereo. Sapevo bene d'essere più vicino alla morte a ogni boccata di fumo, ma non mi importava. Uccidermi era l'unico metodo che conoscessi per vivere: «Avvelenarmi i polmoni mi piace. Prima o poi moriremo tutti e quindi perché non provare? Potrebbe riservarti sorprese». Aspirai ed espirai una boccata di fumo mentre la testa della sigaretta scura si animava, e la mia si alleggeriva. Osservavo la distesa d'acqua salata, pensando ai suoi gemiti per distrarmi. Non la degnai neppure di uno sguardo, sapevo già cosa avrei trovato ad attendermi. Era bella abbastanza da traviare le mie preoccupazioni, ma non le mie perversioni.

Lo sciabordio delle onde che si infrangevano contro gli scogli, sembrò cullarci in quel luogo paradisiaco, rilassandomi. Un venticello fresco mi scompigliò i capelli rossi e il verso lontano dei gabbiani, riecheggiò nell'aria salmastra. «Perché mi hai portata con te?», domandò piano, lasciando cadere l'argomento "salute".

Le rivolsi un'occhiata eloquente, trovandola ancora più graziosa di quanto già non lo fosse stata prima. Forse perché il solo colore che riuscissi ad apprezzare, fra la gamma di tonalità allegre e sgargianti, era il nero. L'unico a esserne privo

I suoi occhi, di ossidiana, erano portali oscuri per nuovi mondi, alchemici e mistici, risaltando sull'incarnato anemico. Preferivo le ragazze dalla pelle chiara, e non perché fossi razzista, ma per semplice gusto estetico. Mi eccitava vedere il contrasto netto dei segni che procuravo con estremo piacere. Posai lo sguardo sulle sue labbra, anch'esse esangui, erano appena rosate e carnose, fatte per essere morse. Ghignai: «Per mangiarti meglio», recitai in italiano e con sarcasmo. La mia interlocutrice compì un passo indietro, incerta se avvicinarsi o meno dopo la mia battuta. Risi della sua ingenuità: «Per parlare, sciocca ragazzina. E poi dobbiamo aspettare l'avviso di Sam. Non siamo ancora al sicuro dai fotografi indiscreti, e ricongiungerci adesso alle nostre famiglie sarebbe solo un rischio inutile», le risposi con mal celata ironia.

Lei parve agitarsi: «Speriamo che non ci abbiano seguito», sussurrò a bassa voce. «Perché Samuel ha sostenuto che fossero qui anche per te?», chiese, cambiando argomento e assumendo una posa composta. Sembrava curiosa e questa, per me, era una domanda del tutto nuova.

«Immagino che tu non guarda o segua aneddoti sportivi sui social, o in televisione, vero?» domandai a mia volta, mentre una smorfia di scherno mi affiorava sul volto. Eleonora scosse il capo, incitandomi a continuare un discorso che non volevo esporle. Mi limitai a scrollare le spalle: Perché sono abbastanza famoso per il lavoro che svolgo.

«C'entra qualcosa con la moto da cross, giusto? Nostra sorella ha accennato che sei un motociclista» le sfuggì poco dopo, frutto dei vaghi indizi colti.

Assottigliai lo sguardo, diffidente: «E su cos'altro ti ha informata, lei?».

Punta sul vivo, la mia interlocutrice farfugliò qualcosa di incompressibile, arrossendo con fervore: «S-Su nient'altro...».

«Mi è difficile crederlo», insinuai, avvicinandomi alla sua esile figura. «Suppongo invece che tu sappia più di quanto io creda», usai lo stesso tono col quale si confessava un peccato indicibile, quello della lussuria. Rifugiai le mani nelle tasche dei pantaloni per non incombere nell'errore di toccarla. Le tentazioni erano pericolose, un'arma a doppio taglio, e lei, lei era la peggiore.

«No, ti sbagli. Io so soltanto...», si agitò, costatando quanto le fossi addosso, ma la frase rimase in sospeso per qualche attimo prima che riprendesse il suo corso: «Niente. Io non so niente di te. Non posso accedere alle notizie che ti riguardano perché mi è proibito», concluse con rassegnazione, indietreggiando ancora.

«Interessante». La misi all'angolo, non mi aspettavo una risposta. C'era chimica fra noi, lo sapevamo entrambi e fingevamo di non esserne a conoscenza. Celati dal faro, che si stagliava alto nel cielo, e protetti dallo steccato in legno, la consapevolezza che fossimo preda l'uno dell'altro, fu evidente. Giocavamo al gatto e al topo in una alternanza di ruoli. E non volevo porvi fine. «Dimmi di sì», mormorai, incombente sulle sue labbra.

Sì, a cosa?, mi rispose, in trans, bramando un bacio che non le diedi.

Tornai eretto con lentezza, allontanandomi dal suo viso: «Al nostro gioco. Direi che è ovvio».

«E... E in cosa consisterà questo gioco?», riprese a domandare, timida.

Rilassai le spalle, riprendendo il controllo del mio corpo – ma non del tutto sui miei istinti: «Su quanto io possa essere perverso con te», chiarii senza dilungarmi oltre. La mia interlocutrice si ammutolì, interdetta, e incassando il capo fra le spalle. Ebbe la stessa reazione di un topolino difronte a un grosso gatto affamato. Quasi mi inteneriva. Quasi: «Praticare le proprie fantasie oscene su qualcuno è il modo migliore per conoscersi», spiegai in modo suadente.

Torreggiai sulla sua figura minuta, frapponendomi fra il suo corpo e il sole, oscurando la luce del tramonto. «Ogni volta che mi compiacerai, ti donerò un "premio" a tua scelta, quello che più vorrai. Solo perché provo dell'astio nei tuoi confronti, questo non significa che non sarò clemente. Oggetti, vestiti, soldi, ecc... Al contrario, se mi deluderai, dovrai pagare pegno. Tutto chiaro fino a qui?». Lei annuì di nuovo, pallida quanto un cencio. Sollevai l'indice destro, incurante del suo riserbo: «Ma – perché ci sono dei ma – non dovrai raccontare ad alcuno di noi due. Nessuna eccezione», tacqui, aspettando qualche istante prima di alzare un secondo dito. Il medio: «Se perderai una sfida o non riuscirai a portare a termine un mio capriccio, subirai in silenzio tutto quello che mi verrà in mente di farti», conclusi con brutalità. Scorsi un lampo di terrore nei suoi grandi occhi e con un gesto dolce e inusuale, le scostai una ciocca corvina dalla fronte. La portai dietro l'orecchio destro. Con la stessa mano con cui le avevo dimostrato un gesto d'affetto, le afferrai il collo, senza stringerlo, poco sopra le clavicole: «Non temermi mia piccola Zarevna, posso essere molto peggio di così», le rivelai, cupo, avvicinandola ancora una volta alla mia faccia. Quella ragazzina, coi suoi silenzi, tirava fuori la parte peggiore di me, quella sadica.

*Zarevna: Principessa. Dmitri con questo appellativo si riferisce alla protagonista della fiaba sovietica simile in tutto e per tutto a quella classica di Biancaneve, per la somiglianza col personaggio fiabesco a Eleonora.

*blyat: altro termine di imprecazione e intraducibile in italiano.

Vol 1 // XXX - PERVERSODove le storie prendono vita. Scoprilo ora