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Alis

Sabato

Dovevo ancora capire perché mio padre aveva deciso di ritornare al Bronx dopo dieci anni, in cui mi ero abituata alla vita di Manhattan. Tutto stupendo lì; le giornate erano mille volte migliori di quelle passate al Bronx, nelle strade che da piccola i miei genitori definivano "maligne".
In realtà sapevo perfettamente perché era tornato ed era l'unico motivo per cui io lo avevo seguito.

Nonno Rand aprì il portone della nostra vecchia casa con il solito campanello e la solita musichetta. Me la ricordavo benissimo, perché spesso uscivo di casa e suonavo solo per sentire la canzoncina di sottofondo.
E pensare che c'erano persone che preferivano bussare alla porta, anziché suonare il campanello.

"Ciao nonno!" lo abbracciai calorosamente. Non ero mai venuta a fargli visita, né a lui né a nonna Rose. Questo non accadeva da quando, nove anni fa, io e mio papà ci eravamo trasferiti.

Non riuscivo più a stare in quel quartiere, perché mi faceva pensare a mamma. E ogni volta, al solo pensiero, mi venivano i brividi.
Solo dopo aver compiuto quindici anni, papà mi spiegò con precisione cosa era successo a mamma.
Mi parlò di una certa Miocardite, un'infiammazione del muscolo cardiaco. Io stessa mi informai di più, come se dovessi ricostruire i fatti, per pura curiosità. Non tutti muoiono di Miocardite, ma a lei è successo.
Ogni giorno peggiorava e io non me ne rendevo conto, ero troppo piccola per capire.

Papà mi raccontò di come affrontava la situazione. Anche io c'ero a casa e la vedevo ogni giorno sdraiata sul letto ma, non sapendo di cosa soffriva realmente, non arrivavo a capire completamente come cercava di combattere quel momento.

Nonna Rose era l'unico motivo per cui tornai lì, nel Bronx. Le volevo un bene dell'anima e, ora che si era ammalata, non volevo assolutamente lasciarla sola. Non ero più piccola e non potevo aiutarla con dei semplici baci come facevo da bambina.

"Ciao papà" salutò mio padre il nonno.

"Entrate" ci diede il benvenuto.

La casa era esattamente come me la ricordavo, se non per qualche vaso o mobiletto spostato. Le piastrelle del pavimento erano linde e pulite, le pareti le solite dalle tonalità calde del giallo e, davanti al divanetto, il camino accogliente.

"Nonna?" chiesi diretta e impaziente di vederla. Mi fece cenno con il dito indicandomi una porta, quella della mia vecchia stanza.

Entrai cercando di fare il meno rumore possibile. Lei era sdraiata sul letto, bloccata con gli occhi al soffitto.

"Alis!" esclamò felice con gli occhi lucidi che tanto mi erano mancati.
Corsi ad abbracciarla e, solo quando avvicinai il mio viso al suo per darle un bacio, mi accorsi di star piangendo.
Mi asciugò le lacrime sorridendo.

"Non dovevi venire qui per me," affermò spegnendo di poco il sorriso, "ti manca solo un anno a scuola."

Abbassai lo sguardo al pavimento color sabbia.

"Non è questo il punto nonna. Tu sei più importante di un ultimo anno di liceo. La scuola puoi ripeterla tutte le volte che vuoi. Ma le persone non restano per sempre..." quasi mi pentii dell'ultima frase, ma con il suo sorriso, non ci pensai più.

Nessuno aveva mai detto che lei non ce l'avrebbe fatta... nessuno. Ma volevo starle vicino, il futuro era improbabile, incerto... Non sappiamo mai cosa aspettarci.

Era sempre stata comprensiva mia nonna, anche per il trasferimento.
Mi chiamava ogni giorno e ogni giorno non sapeva mai cosa raccontarmi. Si accontentava di guardarmi in videochiamata, anche se l'audio talvolta non funzionava. Spesso, io stessa, accantonavo i compiti e lo studio per poterle parlare. La mia media non era delle migliori, ma neanche delle peggiori in fin dei conti.

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