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Alis

Venerdì

"Mi stai dicendo che nemmeno oggi Nathan è venuto a scuola?" chiese Matthew.

"Già e qualcosa mi spinge a pensare che la colpa sia mia." Stavo parlando con il suo ex migliore amico, ero chiaramente disperata e non sapevo con chi altro confidarmi. Avevo l'impressione che se la fosse presa con me per la sera prima. Sarebbe stata la prima notte in cui avremmo visto film come da accordo e me ne ero dimenticata, non ero stata una buona amica. Pretendevo di fare conoscenza con qualche ragazza, ma non riuscivo a gestire nemmeno l'unica amicizia che avevo con un ragazzo.

"Non è colpa tua se per una volta hai pensato a te stessa" cercò di confortarmi come faceva sempre. E se per un secondo ci riuscì, per i successivi quel pensiero continuò a torturarmi la mente. Decisi che il pomeriggio sarei andata da lui e ne avremmo discusso insieme, mi sarei scusata e magari mi avrebbe perdonato, in fondo era stato il mio primo errore.

"Sai...", cambiai discorso, "non ricordo niente del passato, anzi ho solo qualche ricordo vago. Mi hai colto di sorpresa ieri."

"Ci sono certi episodi della vita che ne cancellano altri o li influenzano, ti capisco benissimo."

"Mi racconterai mai cosa è successo a tuo fratello?" domandai sfruttando quel briciolo di coraggio che avevo.

"Magari un giorno" e suonò la campanella con il solito tempismo perfetto. Prima di tornare in classe, passai per le amate macchinette. Non c'era nessuna coda, erano tutti volati in direzione delle loro classi. Mentre mi avvicinavo, un'altra persona dalla parte opposta faceva lo stesso ed era sempre quella ragazza misteriosa. Non alzò la testa, si limitò a prendere ciò che le serviva. Io, accanto alla macchinetta degli snack, cercavo di capire come funzionasse quella del caffè.

"Hai bisogno di aiuto?" chiese lei vedendomi chiaramente in difficoltà, ma lo ero solo perché sentivo una certa tensione. Finalmente la sua voce venne allo scoperto, sottile e dolce, si addiceva perfettamente al suo essere così misteriosa. Con un po' di incertezza accettai e si avvicinò per darmi una mano.
"Quanto zucchero vuoi?"

"Oh niente."

"Sicura? Non fa un po'... ecco, schifo?"

"Devo iniziare a prendere l'abitudine di bere il caffè, limitando però la quantità di zucchero" spiegai. Sembrò confusa così continuai a parlare per non sembrare insensata: "Ultimamente mi addormento spesso il pomeriggio e mi ritrovo in situazioni imbarazzanti. Ieri un ragazzo mi ha visto abbracciare un pallone da calcio mentre dormivo!"

"Ambiguo" commentò dandomi il bicchiere caldo con il caffè. Pensai fosse di poche parole e stavo per iniziare a sentirmi a disagio, invece continuò: "Bisognerebbe avere paura del sonno. Quando dormiamo, la nostra mentre viaggia, ma è un viaggio che non possiamo controllare. Siamo impotenti, non possiamo decidere se sognare o avere incubi, eppure nessuno dà tanta importanza al sonno. Infatti odio dormire."

Il suo tono calmo e costante mi lasciò con il fiato sospeso, aveva creato un'idea interessante e troncato il suo ragionamento con un opinione personale. Restai in silenzio, non ero più io quella che cercava di riempire la situazione di parole.

"Ti consiglio di leggere i libri quando ti annoi, se la tua vita non è un'avventura, crea l'avventura nella tua mente. Avrai così tanta voglia di arrivare al finale da non riuscire più a dormire. Tutti non vediamo l'ora di arrivare al punto nella nostra vita, al finale fiabesco. Per questo i libri sono efficienti, decidiamo noi con quale andamento leggerli, quindi impostiamo la velocità delle vicende. Nella vita reale non possiamo eliminare gli eventi, tantomeno farli scorrere più velocemente. In conclusione, se non ti piace la tua storia, leggi altre storie" disse facendo delle pause solo per prendere fiato. Non era un discorso già preparato ed era molto bizzarro, perché ragionava sulle parole sul momento con rapidità.

𝐊𝐈𝐍𝐆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora