III.

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III.



Le luci scivolavano su abiti, pelli, capelli, in bagliori sottili che rendevano le persone indistinguibili. Figure che danzavano in un'orgia di musica e sudore, ammassate, euforiche eppure immerse in una bolla di pigrizia: si assecondavano a vicenda con una certa inerzia e le loro teste si muovevano in un'onda di cui solo dopo un po' si riusciva a percepire l'andamento, osservando attentamente e dall'esterno.

Clarissa era lì in mezzo.

Yousef era poco lontano da lei, nella zona bar della discoteca.

Non poteva fare a meno di guardarla.

Un fascio di luci rosse le vorticò intorno. Il suo viso accolse un centinaio di ombre diverse nel giro di poche frazioni di secondo, come se un tramonto l'avesse attraversato. Poi il sole sparì. Francesco, ballando, la strinse a sé e lei affondò il volto nella sua spalla.

Gli sembrò che una mano gli si fosse avvolta intorno al collo. Mandò giù il resto del suo mojito in un solo sorso, ma il groppo alla gola non scomparve. Anzi, la mano invisibile forzò la presa.

Era peggio di quanto si fosse aspettato, vederli. Poterli osservare senza distogliere lo sguardo, in ogni gesto che si rivolgevano. Ballavano come se si amassero. Piano, per agevolare l'anca di Clarissa.

Quando prima si erano incontrati tutti fuori all'ingresso del Paradise, erano stati costretti dalle circostanze a salutarsi. Francesco aveva azzardato due baci sulle guance pallide di Matilde. Clarissa era visibilmente imbarazzata e non gli aveva rivolto più di un «Ciao.» Poi si era aggrappata al braccio di Francesco ed erano entrati.

Gli altri avevano scrutato le loro quattro reazioni con innegabile curiosità. Forse erano rimasti delusi. Si erano comportati bene. Nessuna scenata, nessun commento fuori luogo.

Yousef era venuto in macchina con Matilde, Lorenzo e Katia. I restanti otto della comitiva in altre due macchine. Matilde era venuta a prenderlo alla fermata del Museo, ma non era sola, non aveva potuto parlarle. Nella sua nuova, lucida Punto avevano messo musica spazzatura lungo il tragitto, cantando a squarciagola testi che non sapevano di conoscere a memoria.

La musica del Paradise, invece, non aveva parole. Era un bombardamento di bassi e di sintetizzatori costante, nelle orecchie, nel petto. Era il sottofondo perfetto per chi volesse dimenticare i propri problemi, con l'ausilio di qualche superalcolico o di qualche pasticca.

Tuttavia non era il posto giusto perché Yousef si dimenticasse di lei. Era lì, a pochi passi, seminascosta nella massa di corpi. Non era difficile individuarla, però: era bellissima. I capelli ricci domati in due treccine, un vestito bianco, corto, che non le aveva mai visto addosso – doveva averlo comprato di recente –, i suoi occhi trasparenti come gemme che guizzavano sul volto di un estraneo.

Yousef e Francesco non erano mai stati particolarmente legati. Da quando si era lasciato con Matilde, poi, un anno prima, Francesco era sparito dalla circolazione. Anche Matilde era uscita raramente con il gruppo da allora. Non sapeva niente di lui, adesso che era ricomparso. Aveva a che fare con uno sconosciuto.

Si domandò quali fossero i mezzi adatti per combatterlo.




Matilde e Katia erano vicinissime. Matilde riusciva a vedere ogni lentiggine sul suo viso. E quando le luci si srotolavano su di esso tutte quelle macchioline apparivano come una costellazione su una pelle rossa, blu, verde.

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