XXIV.

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Note d'autrice: inizialmente, nella mia testa, questa storia doveva essere una storia tranquilla, lo giuro.
Buona lettura ❤




XXIV.



Era sola in casa. Era sola da giorni. I corsi all'università erano ricominciati da più di una settimana, ma Matilde non si era disturbata a uscire da quelle mura se non per fare la spesa al supermercato nella via accanto o per portare Simba a fare un giro intorno al palazzo, ma poi Ilenia l'aveva voluto un po' a casa con sé e lei glielo aveva lasciato.

Distesa sul divano, quella sera, guardava distrattamente un talk show su Sky con un calice di vino tra le dita, nel suo pigiama di raso.

Come una vedova newyorkese alcolizzata, aveva pensato in piena apatia, anche se l'accostamento l'aveva fatta sorridere per un istante.

I minuti scorrevano in un fiume di nulla.

Nello schermo del televisore due giornalisti conducevano un dibattito sul legame tra razzismo e immigrazione. Matilde pensò al matrimonio di Ilenia, a come i suoi parenti avevano guardato Yousef tutto il tempo. Le veniva la nausea al pensiero che sarebbe potuta diventare simile a loro, un giorno. Le veniva già se pensava alla persona che era adesso.

Le sarebbe tanto piaciuto essere l'ospite di un programma come quello, avere un microfono tra le mani per poter dire in diretta nazionale: voglio essere qualcun altro. Fatemi essere qualcun altro.

Si sarebbe bevuta le espressioni perplesse dei presenti e poi i successivi commenti di disprezzo, che l'avrebbero additata come ragazza viziata e privilegiata. Ed era la verità. Con quale coraggio si lamentava, lei, dal suo piedistallo di benessere materiale?

Matilde passava le sue giornate ad autocommiserarsi. Non stava più studiando, non stava più vedendo nessuno. Si domandava spesso cosa avrebbero fatto i suoi conoscenti se lei fosse sparita da un giorno all'altro. Dubitava che se ne sarebbero anche solo accorti. L'avevano lasciata tutti. Lì in salone, con solo la luce azzurrina della televisione a illuminarle gli spigoli – le ginocchia, i gomiti, le spalle e il profilo del volto – mentre il buio la inghiottiva un po' alla volta. L'avevano lasciata loro.

Era una consapevolezza che la nutriva da mesi, ma dopo il matrimonio si era definitivamente consolidata.

Per questo motivo, non si aspettava che Yousef la chiamasse a quell'ora.

Il cellulare squillò all'improvviso, quando il vino nel calice era finito da un pezzo. Vibrò sul tavolino per qualche secondo prima che lei lo afferrasse. Matilde lesse il nome sullo schermo.

«Yousef?» rispose, stranita.

«Non lo sanno» si precipitò lui, senza nemmeno salutarla. Era leggermente affannato, come se stesse camminando a passo veloce. In sottofondo giungevano dei rumori dalla strada.

«Cosa?»

«Clarissa e Francesco» specificò. «Non lo sanno.»

«Ma che stai dicendo? Dove sei?»

«Sto venendo da te, sono quasi arrivato.» E camminò ancora più velocemente. «Mo' parliamo meglio. Scusa il poco preavviso.»

Riattaccò, lasciandola in sospeso.

In sospeso, ma infinitamente rincuorata.

Dopo poco bussò al citofono. Erano le ventitré inoltrate.

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