XVI.

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Note d'autrice: bentornati a un nuovo mercoledì con questi sciagurati! Stavolta, però, porto con me un avviso più o meno spiacevole. Sono costretta a prendermi una pausa dalla scrittura di due settimane per ultimare la mia tesi di laurea, per cui ci rivedremo intorno al 25/27 novembre (il 27 è mercoledì, ma volevo cambiare giorno di pubblicazione con il lunedì o il martedì). Spero di ritrovarvi tutti ❤️
Intanto, buona lettura!




XVI.



Quella sera, la terzultima sera, di lei lo colpirono le movenze. Ogni gesto di Matilde era languido, come se si stesse muovendo nell'acqua, scivolando. Come se ancora non si fosse ripresa dagli effetti della canna – che assurdità, pensarlo – o della febbre. La sua pelle appena abbronzata era calda, nonostante la temperatura le fosse tornata regolare. Le aveva sfiorato un braccio, in auto, e si era sorpreso.

In quel momento camminavano fianco a fianco sulla via principale della città vecchia di Dubrovnik, lo Stradun, accanto agli altri amici. Era già ora di cena e stavano cercando un ristorante in cui mangiare pesce fresco.

In fondo alla strada svettava la Torre dell'Orologio, che pareva osservare tutti i forestieri dall'alto, a protezione di quella città. I vicoli di pietra e mattone bianco, così stretti da ricordare quelli di Napoli, traboccavano di turisti e di locali. E tutto ciò a cui Yousef riusciva a pensare era che gli sarebbe tanto piaciuto se ci fosse stata meno gente. Per godersi di più la città, per godersi di più Matilde in quella città.

Lei lo distraeva. Quel suo modo di muoversi era ipnotico. Non le apparteneva, così come non le apparteneva il vestito rosso. Si vedeva che l'aveva scelto qualcun altro per lei, sebbene le calzasse divinamente. Il fatto che l'avesse scelto Clarissa o che Clarissa l'avesse convinta a comprarlo era paradossale. Clarissa le aveva tolto una fetta di volontà. E ora Yousef vedeva Matilde nei panni della volontà di Clarissa.

Clarissa aveva creato la Matilde di quella sera.

Lei era dietro di loro, con Francesco. Stava facendo una lunga ripresa con la sua GoPro. C'era tanto da vedere, tanta bellezza storica su cui posare lo sguardo. Ma per ben due volte Yousef aveva beccato Francesco a osservare Matilde, la gonna del suo abito che le arrivava alle caviglie e si muoveva leggiadra con lei, i suoi capelli scuri che dondolavano sulle scapole. Forse era stato ipnotizzato anche lui.

Yousef fu particolarmente felice di togliergli Matilde, quella sera.

Le passò un braccio intorno alla vita e la attirò a sé, facendola fermare, e la baciò in mezzo alla gente, tra le luci dorate della città vecchia. Matilde rispose al bacio aggrappandosi alle sue spalle, con un sorriso compiaciuto.

«Che carini, vi ho fatto una foto» disse Aurora, con il proprio cellulare in una mano.

Raffaele roteò gli occhi. «Sì, ma ora smettetela di fare i piccioncini e muoviamoci, ché altrimenti non entriamo da nessuna parte.»

«Amore, non rovinare l'atmosfera...»

«Ma sto morendo di fame!»

Yousef rise, prese Matilde per mano e riprese a camminare. «Anche io, Raffae', non ti preoccupare.»

Dopo aver fiancheggiato la sobria chiesa di San Biagio, arrivarono in una piazza gremita di turisti alle spalle della Cattedrale dell'Assunzione. Mentre Sara e Valeria chiedevano la disponibilità a un ristorantino con i posti all'aperto, Matilde si fece stringere di nuovo da lui. Si strofinò contro il suo petto e gli baciò il collo lentamente, lasciandogli una scia con la lingua. Yousef le sfiorò le natiche con i palmi mentre le accarezzava la schiena.

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