Il tempo stava iniziando a scorrere in fretta. Guardai il calendario: erano passate tre settimana ed ero finalmente pronto per uscire dall’ospedale, dopo che avevano deciso di tenermi più tempo a causa del trauma cranico e di una lieve complicanza.
Non mi avevano permesso di vedere Jessie, né di sapere qualcosa in più del solito: “Lei sta bene, pensa a rimetterti”.
Avevo persino litigato con i ragazzi perché non volevano dirmi nulla di lei. Sicuramente era uscita da tanto dall’ospedale, ma n on capivo perché non mi venisse a trovare. Forse perché aveva sempre odiato gli ospedali. Ma le mie valigie erano pronte, e non aspettavo altro che vedere Jessie, accarezzarle i capelli, sentire il suo profumo e accarezzare il suo ventre, dove stava crescendo il nostro piccolo bambino.
Entrò il dottore, scattai subito in piedi.
“Bene bene, ci siamo rimessi in maniera perfetta. Mi raccomando a non fare ancora troppi sforzi, e se ce la fa eviti di bere e fumare per qualche giorno ancora.” Mi diede dei fogli, io lo ringraziai, poi uscii di fretta. Guardai dritto negli occhi Zacky che mi aspettava sullo stipite della porta.
“Bene, ora mi porti da lei?” Gli dissi impaziente. Abbassò lo sguardo, prese le mie valigie. Non avevo fatto caso alle occhiaie che gli contornavano gli occhi. Doveva aver perso anche qualche chilo.
“Ehi, ma che ti prende?” Ero preoccupato, non avevo fatto caso a questi piccoli cambiamenti nel suo viso e sul suo corpo.
“Niente, sono solo un po’ stanco, ho fatto qualche nottata in bianco. Ora vieni, ti porto da Jessie.”
Avevo uno strano presentimento, sentivo che qualcosa stava turbando il mio amico. Lo seguii verso la macchina. Una volta messa in moto, continuai a fissare il mio amico che muoveva le mani nervosamente mentre guidava. Guardai il finestrino. Io sapevo che qualcosa non andava in lui, e dovevo saperlo.
“Non mi mentire, che ti è successo?” Lo guardai dritto negli occhi, lui non resse il mio sguardo.
Non mi rispose. Guardai nuovamente la strada, che mi era così maledettamente famigliare.
“Perché stiamo andando a trovare Jimmy? Ti avevo chiesto di portarmi da-“
Mi bloccai. Il mio cervello iniziò a connettere tutto. Zacky mi stava portando da Jessie non dal mio caro amico James.
Posai una mano sulla bocca, una lacrima mi solcò il viso. Non poteva essere vero.
“Ferma la macchina.”
“Mancano ancora dieci metri, Brian, aspetta.” Mi disse calmo Zacky.
“TI HO DETTO DI FERMARE QUESTA FOTTUTA MACCHINA.”
Scesi in fretta.
“Dov’è?” Lo stavo guardando con gli occhi del diavolo. La mia rabbia era alle stelle.
“Brian, amico, aspetta, ti ci porto io. Dovevi capire, non potevamo dirtelo, stavi già male di tuo.”
“Dimmi dove cazzo è e vai a farti fottere, nessuno di voi esiste più per me.” Urlai, più di quanto avessi immaginato.
“Accanto a James.”
Corsi, non so di preciso il motivo per cui lo feci, ma sapevo che io dovevo muovermi, dovevo andare in fretta sulla sua tomba, perché lei mi stava aspettando e aveva bisogno di me, come io avevo bisogno di lei.
Vidi una piccola lapide sul pavimento con il suo nome. C’erano tanti fiori intorno. Li spostai, quasi lanciandoli via. Mi inginocchia vicino a lei, quasi riuscivo a vedere i suoi lineamenti di fronte a me. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, e un magone mi riempì lo stomaco. Come potevo vivere senza di lei?
Era tutta colpa mia, e lo sapevo, perché non saremmo dovuti uscire quella sera.
Mi passai le mani tra i capelli, con forza, rischiando di strapparli. Portai la testa indietro, e urlai.
“è tutta colpa mia”. Urlai come non lo avevo mai fatto in vita mia. Mi sentii quasi più leggero, sentii il magone più piccolo. Ma fu una sensazione che durò pochi secondi. Posai di nuovo i miei occhi su quella piccola lapide. E la vidi. Vidi Jessie. Era bellissima, come sempre. Il viso era contornato dai suoi morbidi e profumati capelli rossi, e mi sorrideva. Tremai, avvicinandomi a lei.
“Amore, non è colpa tua, è successo, doveva succedere”. Mi sorrise. Le lacrime continuavano a scorrere sulle mie guance, ai miei occhi non c’era più nulla a parte me e lei.
“No, no, è tutta colpa mia. Jessie, io senza te non vivo. Ti prego amore, torna da me.”
Lei si avvicinò ancor di più a me,portò la sua mano vicino la mia guancia. Sentii un lieve vento freddo toccarmi il viso.
“Tu ce la devi fare, devi andare avanti, e devi essere felice, per me, per i tuoi amici e per la tua famiglia.”
Abbassai lo sguardo e appena lo riportai in alto lei non c’era più.
“No, ti prego, non te ne andare. Ti prego, torna da me.”
Una mano si posò sulla mia spalla. Mi voltai, e vidi Zacky.
Il mio pianto si tramutò in rabbia. Spinsi Zacky, facendolo cadere.
“Brutto stronzo,. Quando avevate intenzione di dirmelo? Tu e tutti gli altri potete scordarvi di me. Anche i miei genitori. Siete tutti dei fottuti bastardi, mi avete tradito.”
Gli sferrai un pugno e corsi, senza una meta ben precisa. Volevo solo fuggire lontano da tutto e da tutti, lontano dai miei problemi, nella speranza di non trovare l’unica soluzione nel suicidio, , ma di trovare un piccolo pezzo di paradiso che mi facesse sopravvivere.